Circola da tempo una lettera, promossa in prima istanza da professori del Politecnico di Torino e dell’Università di Roma Tre, che intende protestare contro il blocco della progressione degli stipendi universitari. Blocco che non vale invece per le altre categorie non contrattualizzate del pubblico impiego, che in varia misura ne sono state esentate (magistrati, forze dell’ordine, membri del corpo diplomatico).

Questo tipo di protesta non è nuova: già nel 2010 uno dei promotori attuali aveva espresso la sua contrarietà e oggi, nella lettera che si intende consegnare a governo e rettori, vengono anche indicate misure (vedi*) già minacciate nel 2010. 

Merita forse rilevare che una delle misure minacciate – l’astensione dalla didattica non obbligatoria – è stata promossa dalla Rete 29 Aprile, portando al montare della protesta che ha caratterizzato il periodo 2010-2012: un’azione volta a realizzare una Università Pubblica, Libera e Aperta, in opposizione ad atenei sempre più verticistici, chiusi e privatizzati. La stessa Rete nel 2010 aveva invitato il governo a giocare a chamare le cose con il loro nome, sostituendo il blocco della progressione stipendiale con una tassa temporanea di pari importo della durata della crisi, senza così modificare a vita (pensione compresa) le curve stipendiali. Questo, infatti, crea un danno di oltre 100.000€ per persona con impatto particolarmente forte sui più giovani e chi è ad inizio carriera.

Uno dei membri della Rete 29 Aprile, Piero Graglia, particolarmente attivo con il coordinamento R29A nella protesta 2010-2011 in contrasto alle azioni di smantellamento (non solo stipendiale) dell’Università pubblica in Italia, esprime oggi ai promotori della recente raccolta di firme contro il blocco della progressione stipendiale un’adesione condizionata (lettera che qui riportiamo): la protesta sui temi economici va bene, è doverosa, senza dimenticare che essa rappresenta purtroppo solo la punta di un iceberg per un sistema universitario depauperato, chiuso al cambio generazionale, fondato in gran parte sullo sfruttamento del precariato e sull’abbandono di fatto del sostegno al diritto allo studio. I fatti “parlano” e, ci si augura, dimostreranno le genuine intenzioni dei promotori della lettera. 

LETTERA DI PIERO GRAGLIA AI PROMOTORI DELLA RACCOLTA DI FIRME CONTRO IL BLOCCO DELLE PROGRESSIONI STIPENDIALI

Cari Colleghi

mi chiamo Piero Graglia e sono stato uno dei coordinatori nazionali del movimento Rete 29 Aprile che ha protestato dal 2010 a oggi contro la predisposizione e l’attuazione della l. 240/2010, la cosiddetta “legge Gelmini”.

Sono lieto, e penso che come lo saranno in molti, del fatto che la protesta, dopo essere stata per molti mesi sostenuta SOPRATTUTTO dagli sforzi dei ricercatori a tempo indeterminato, abbia finalmente anche coinvolto numerosi esponenti delle prime fasce; perché, vedete, il blocco degli scatti stipendiali NON E’ una misura che cala dall’alto indipendentemente dal processo di ristrutturazione e riforma (compressione verso il basso) dell’università italiana, ma ne è parte costitutiva. Ed è un blocco peraltro reso possibile dal fatto che quando c’era da protestare con forza contro il processo di depauperizzazione dell’università italiana, solo pochi hanno risposto, radicando nel governo la convinzione che agli universitari si possa fare quello che si vuole perché tanto tutto accettano, tutto subiscono, e si agitano un pochetto solo quando li si tocca nel portafoglio.

Il che è tristemente vero.

Dove eravate, infatti, con le vostre sedicimila firme e spiccioli, quando si ponevano le basi per quella perdita di dignità che NON risiede nel vedersi gli scatti bloccati ma nell’aver accettato le basi fondanti di questo blocco?

Dove eravate, quando Gelmini e Tremonti lucidamente prendevano accordi con la CRUI affinché i rettori operassero azione di convincimento sui loro più giovani colleghi affinché cessassero le proteste che stavano paralizzando l’università?

La metodica di non accettare corsi e di rifiutare l’attività didattica non obbligatoria per legge, è una modalità che noi di Rete 29 Aprile conosciamo bene, ma personalmente mi ripugna UN PO’ adottarla oggi, per protestare contro tagli stipendiali, sebbene essi colpiscano molto più pesantemente le fasce docenti più giovani e deboli di quanto non facciano con quelle più alte. E soprattutto mi ripugna fare della protesta attuale, da voi per molti versi MERITORIAMENTE promossa, tutto ciò che resta della stagione di contrasto alla legge Gelmini.

Peraltro nella vostra lettera vi sono delle piccole inesattezze che sono spiegabili solo col fatto che siete forse poco addentro alla discussione, durata mesi, sulla genesi e sullo sviluppo della riforma.

Oltre al blocco degli scatti, deciso da Tremonti nel 2010, il governo ha anche proposto il DPR n. 232 del 15 dicembre 2011 entrato in vigore il 24 febbraio 2012, che ridetermina tutte le retribuzioni del personale docente dell’Università.

Peccato che, quando il DPR venne approvato, abbia protestato massicciamente solo una componente, i RTI con una parte consistente anche dei PA. I PO, prevalentemente, zitti.

Poi, insieme alla ridefinizione delle retribuzioni (intanto bloccate)  venne introdotta una possibilità, per i docenti che avevano maturato la classe – non goduta – nel 2011, di vedersi attribuire un incentivo una tantum su base premiale, con l’elargizione di 18 milioni di euro a valere sul FFO del 2011, poi confermati e lievemente accresciuti anche per il 2012 e il 2013. Si tratta dei cosiddetti “scatti premiali” che sono sottratti al blocco e sono altra cosa.  

E siamo a oggi.

Avendo protestato a lungo, con tanti splendidi colleghi, contro la legge Gelmini, la tentazione è forte di partecipare anche a questa, ma… C’è un ma.

Non ritengo giusto fare del blocco della progressione stipendiale l’unico scandalo attuale di una riforma che ha aumentato a dismisura i carichi burocratici per i docenti, ha fatto esplodere la questione dello scadimento della qualità della didattica, ha promosso procedure di valutazione ridicole, ha ristretto ulteriormente gli spazi di arruolamento delle giovani leve. Infine, ha amplificato la convinzione, nell’opinione pubblica, che i docenti universitari non facciano nulla. Su questi temi ignoro quale sia il vostro orientamento, visto che parlate sì di dignità violata ma, ripeto, per me gli argomenti suesposti hanno leso già abbastanza la mia dignità.

Quindi, se questa protesta vuole significare qualcosa dovrebbe, a mio modestissimo parere, affrontare e discutere anche su questi punti. Essere il primo atto di una discussione ampia e complessiva che metta al primo posto non solo la retribuzione, ma anche il sistema nel quale questa retribuzione viene faticosamente guadagnata, ogni giorno.

Ci vedremo sicuramente a Roma.

Cordiali saluti e buon lavoro,

Piero Graglia, R29A

*Le misure di protesta minacciate (dal testo della lettera indirizzata a governo e rettori):

1) Oltre ad attuare l’osservanza minuziosa e paralizzante di leggi e regolamenti (lo sciopero bianco), [i firmatari della lettera] si vedranno costretti a non assicurare gli esami di profitto e di laurea secondo le tempistiche attuali, finora notoriamente possibili solo grazie al sacrificio che la docenza affronta in silenzio, disposta a correggere elaborati di esame e tesi di laurea in qualsiasi momento della giornata e spesso, nei casi di centinaia di allievi, la domenica.

2) I professori, raggiunte le ore di attività didattica frontale prescritte per legge non daranno la loro disponibilità ad andare oltre tale limite. Chi conosce l’università sa che cosa questo significherebbe.

3) I ricercatori a tempo indeterminato non daranno la disponibilità ad accettare la titolarità di corsi, cui per legge non sono tenuti.

4) I ricercatori a tempo determinato non accetteranno la titolarità di corsi non coperti da altri docenti

5) Tutti i sottoscritti in occasione della prossima VQR non daranno il consenso all’utilizzazione dei propri prodotti di ricerca, come hanno fatto per la VQR conclusa, né daranno la loro disponibilità a prestare la loro opera quali valutatori.