Qui di seguito due testi, originariamente email dirette a ricercatrici e ricercatori indisponibili scritte da Alessandro Ferretti e da Guido Mula, che ci sembra possano anche interessare i frequentatori del sito: Carissim*,

siamo tutti stanchi, lo so bene. Siamo stanchi di protestare, di affrontare rettori e presidi, di confrontarci con l’inerzia e le giustificazioni di tanti, di scrivere e diffondere documenti, di organizzare iniziative. Siamo stanchi di fare tutto questo in aggiunta al nostro carico normale di lavoro, sacrificando il nostro poco tempo libero.

Ma tutta questa attività è stata tanto faticosa quanto preziosa: in questi mesi abbiamo seminato tanto. Abbiamo seminato la speranza di cambiamento nel cuore dei volenterosi, il dubbio nella passività degl iignavi, la consapevolezza nelle menti degli studenti, il timore nella pancia dei politici.

Con l’arrivo dell’autunno, i semi gettati da noi hanno cominciato a germogliare. I rinvii degli anni accademici e le proteste studentesche dell’inizio di ottobre hanno bloccato un DdL che, a sentire le solite ineffabili voci di Palazzo, era inarrestabile come una petroliera lanciata sugli scogli.

In altri luoghi cominciano a germogliare semi gettati da altri. Avviene ad esempio proprio ieri, in Gran Bretagna:

http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/the-new-politics-student-riot-marks-end-of-coalitions-era-of-consensus-2130865.html

Gli aumenti alle tasse universitarie scatenano i più violenti scontri di piazza degli ultimi 20 anni. Chi ha seminato aristocrazia culturale (numeri chiusi, selettività estrema, tasse elevatissime) raccoglie ora gli amari frutti di un malcontento sociale diffuso.

L’era del consenso è arrivata al capolinea. E il segnale della fine arriva proprio dall’Università.

Sta definitivamente succedendo qualcosa.

In Italia, il governo è allo sbando. Sulla riforma Gelmini punterà tutte le sue ultime carte per portare a casa almeno un risultato importante prima delle elezioni. Ma le contraddizioni al suo interno sono sempre più evidenti: e le proteste contro il massacro dell’Università continuano a crescere.

Ecco cosa è successo ieri, secondo Repubblica:

“Manifestazioni di protesta si sono svolte in molte città. Questa mattina a Pavia ci sono state assemblee in tutte le facoltà e sospensione di un’ora di lezione fino al 17 novembre. A Parma gli studenti hanno votato al referendum che ha unito la protesta contro i tagli alle borse di studio in finanziaria e l’aumento dei costi delle mense. A L’Aquila sit- in davanti alla mensa di Coppito. A Napoli assemblee all’università Federico II e alla Parthenope. In serata le assemblee a Firenze alla Casa dello Studente Maragliano, ad Ancona presso le Breccie bianche, a Pisa alla Casa dello Studente Praticelli, a Cosenza e Lecce in tutte le facoltà e presidi, a Macerata la riunione organizzata da Offina Universitaria. Domani gli studenti si incontrano a Ferrara al Polo biomedico, a Palermo sit-in presso l’Ersu e la mensa dentro la cittadella universitaria. A Brescia iniziativa alla mensa Isu, assemblee ad Ancona, Teramo e Forlì, presidio a Pisa e a Urbino.”

http://www.repubblica.it/scuola/2010/11/10/news/protesta_fo-8966160/?ref=HRER2-1

Ora siamo ad uno snodo cruciale. La settimana del 15 si apre significativamente con l’assemblea nazionale degli associati: una prima assoluta nella storia dell’Università italiana. Poi abbiamo il 17 novembre, che non è solo uno sciopero: infatti, da ormai sei anni è la giornata mondiale di mobilitazione studentesca, e quest’anno promette di essere un evento di portata ben superiore ai precedenti.

Ditelo a tutti i docenti, inoltrate loro questo mail: fare lezione in quel giorno, dopo tutto ciò che è successo in questi mesi, significa dichiarare forte e chiaro la propria approvazione del più grande progetto di destrutturazione dell’Università pubblica statale dall’Unità d’Italia ad oggi.. e l’anno prossimo fanno 150 anni.

Dite loro che ci ricorderemo delle loro lezioni, quando vedremo intere linee di ricerca cancellate e interi corsi di laurea aboliti da consigli di amministrazione composti da provetti amministratori aziendali, e dite loro che sapremo chi ringraziare.

Perchè questo è un destino che possiamo ancora evitare, nonostante alcuni “uccellais” del malaugurio che ricominciano a suonare i rassicuranti mantra del fallimento e dell’impotenza: “vi siete battuti bene e avete perso con onore”, sottintendendo forte e chiaro “ora rassegnatevi e ritornate a fare i bravi schiavetti”. Vi sembrano le parole di qualcuno sinceramente interessato a salvare l’università pubblica?

Moltissimi ricercatori, invece, sono davvero interessati a salvare l’Università. Tra loro ci sono persone che hanno faticato come muli, spesso autosfruttandosi, per entrare in ruolo: non per godere di chissà quali soddisfazioni economiche, ma per la speranza di poter dare sfogo alla loro insana (e, per molti, incomprensibile! 😉 ) passione per il lavoro più bello del mondo, quale è la ricerca, l’esplorazione dei campi sconosciuti del sapere al servizio del progresso della società intera (e non quella tesa a gonfiare le tasche di qualche privato cittadino).

Ora si ritrovano alla vigilia della rottamazione, in alcuni casi ancor prima di avere la conferma, con davanti trent’anni di passione trasformati in un incubo, da trascorrere in un guscio vuoto di progetti e di risorse e pervaso dalle perverse logiche aziendali.

Cari indisponibili, vi faccio una proposta indecente: nella settimana del 15, e in particolare il 17 novembre, lasciamo da parte l’indisponibilità e impegniamoci a tenere un corso.

Teniamo un corso pratico per riscoprire l’importanza della consapevole partecipazione democratica quale unico argine contro un’indifferenza tanto diffusa quanto criminale, che consente l’accumulo di un enorme potere nelle mani di pochi ambiziosi irresponsabili. Un potere che vede nella consapevolezza e nelle capacità critiche dei cittadini la peggiore minaccia alla sua stessa esistenza, e che si dedica quindi a minarne le basi senza rendersi conto che così facendo sega il ramo su cui tutta la società è seduta.

Questo corso non si deve tenere nelle aule, ma nelle strade e nelle piazze: non ha la forma della lezione frontale, ma dell’iniziativa di protesta e di proposta. Non ha nè maestri nè discepoli, ma solo persone che tutte insieme, sullo stesso piano, collaborano per difendere e far vivere l’Università.

E noi sappiamo bene che a questo corso non può mancare l’apporto degli indisponibili. In questi mesi di fatiche e di protesta abbiamo scoperto e sperimentato in prima persona l’incredibile potenza sprigionata dall’unirsi e dall’alzarsi in piedi.

Abbiamo affermato e reso concreti principi e valori che sembravano estinti, abbiamo demolito in pochi mesi una consuetudine trentennale che ci assegnava un ruolo passivo e docile, sottoposti alla travolgente incompetenza e irresponsabilita di tanti baroni; ci siamo scoperti e conosciuti, e insieme ci siamo difesi da chi vuole sacrificare il futuro sull’altare di un presente fallimentare, agonizzante e insostenibile. Abbiamo bloccato le università per sbloccare la società.

E’ vero, siamo stanchi, ma la settimana prossima non è ancora la settimana del riposo.

E’ la settimana del raccolto.

Buona settimana!

Alex

————-

Cari tutti,

Vorrei aggiungere qualche considerazione alla bellissima lettera di Alex Ferretti.

Il lavoro che molti di noi hanno svolto in particolare in quest’ultimo anno si è sempre svolto camminando controvento. E’ inutile nasconderlo: da sempre i commenti che ci vengono fatti sono: siete soli, non ce la farete mai, state sbagliando strada e così via, per poi passare in alcuni casi alle minacce vere e proprie (da quelle grottesche di denuncia per interruzione di pubblico servizio a quelle più improbabili di denuncia per attentato al decoro sello Stato).

Eppure, nonostante questo, siamo andati avanti. Dai tre o quattro che eravamo a novembre 2009 siamo diventati migliaia di ricercatori, oltre diecimila indisponibili, si sono uniti i precari, gli studenti. Un paio di giorni fa è nato perfino il coordinamento nazionale degli associati, un evento che è sicuramente costato uno sforzo immenso agli organizzatori e che non sarebbe mai stato possibile senza il nostro contributo e la nostra azione forte di presa di coscienza in tanti atenei.

E’ grazie al nostro, di tutti, lavoro quotidiano, tra le mille difficoltà, che siamo riusciti ad avere una voce riconosciuta. E’ grazie alla nostra pazienza, perseveranza e coerenza che si parla di Università, che l’argomento è passato dalla sordina ad un tema che provoca conflitti nella maggioranza, che si parla di soldi per davvero tanto che Tremonti è costretto a parlare di soldi prima del decreto milleproroghe come voleva lui. Anche se sono pochi e noi abbiamo già detto che non bastano neanche a coprire i tagli vi sembra un primo risultato da poco? Abbiamo già cominciato il raccolto, e questo non è il primo frutto.

Ma ci pensate a quanta strada abbiamo percorso? Oggi esiste, prima storica, una rete nazionale che permette ai ricercatori di parlarsi, si scambiarsi informazioni, di conoscersi. Abbiamo tutti coscienza vera delle altre università, abbiamo imparato a discutere con colleghi di discipline diverse dalle nostre, nascono nuove idee di collaborazione anche scientifica.

Questa che stiamo facendo oggi è costruire una nuova università. Nessuna legge potrà mai fermare quello che stiamo facendo: un nuovo modo di guardarsi e di confrontarsi, le porte finalmente aperte del dialogo tra le sedi e tra le discipline. Abbiamo già oggi cominciato a creare quel modello di università che vogliamo, dove lo scambio delle idee è alla base per qualunque progresso.

Non lasciamoci scoraggiare dai vari uccelli del malaugurio che continuano a dire che la battaglia è persa. Prima di tutto perché non è vero, e la saggezza popolare ci insegna a “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” e la legge non è ancora approvata. Se anche lo fosse, bisognerà poi vedere se il governo riuscirà a sopravvivere abbastanza a lungo per arrivare anche all’approvazione al Senato.

Ma quand’anche ci riuscissero, quello che abbiamo costruito perché dovrebbe svanire? Pensate che, anche a cose fatte, sarebbe davvero possibile far finta che noi, con le nostre idee “rivoluzionarie”, non ci siamo? Non ci sono solo i ricercatori, ci sono anche professori di prima e seconda fascia, ci sono studenti e precari, c’è il personale ATA, ci sono gli enti di ricerca. Quello che abbiamo messo in moto, al di là della contingenza, è quello che sta cambiando nel profondo, già adesso, l’Università. E chi resterà nell’università a lungo siamo noi. Noi che, con la nostra rete, abbiamo dimostrato che c’è un’università diversa, forte e produttiva, nascosta dentro quella vecchia.

Quello che abbiamo messo in moto è il nostro futuro e quello di chi verrà dopo di noi, a partire dai nostri figli, nipoti, studenti. Alex dice che la settimana prossima è il tempo del raccolto. Sono d’accordo con lui. Ma vi dico che mi pare quasi riduttivo dire così: a mio avviso, come ho detto prima, stiamo già raccogliendo frutti della semina, da mesi, e non dobbiamo smettere di farlo.

La settimana prossima è un’altra settimana di raccolto, un raccolto importante da non perdere. Dobbiamo essere, come sempre, numerosi, forti e compatti.

Un abbraccio a tutti,

Guido