Il merito non scatta.

Come un ministro dell’università riesce a confondere la carriera con l’anzianità di servizio.


La Rete 29 Aprile prende atto della notizia che il Consiglio dei Ministri di oggi ha approvato due schemi di regolamento per la valutazione dei professori universitari. Era una notizia da tempo attesa. Essa è però accompagnata da una serie di false affermazioni che meritano una rettifica.

Il Comunicato stampa del Ministero afferma trionfalisticamente che con l’approvazione dei due regolamenti, riguardanti l’attribuzione degli scatti stipendiali solo sulla base della valutazione dell’attività scientifica (“criteri meritocratici”), “termina l’epoca dell’avanzamento di carriera solo in base all’anzianità di servizio”. Aggiungendo poi una dichiarazione della stessa Gelmini: “L’anzianità di servizio non poteva restare il criterio determinante per l’avanzamento di carriera”.

Vorremo far notare che l’ “avanzamento di carriera”, nell’università italiana, è da sempre deciso tramite concorso e non sulla base dell’anzianità di servizio. Concorsi che proprio la Gelmini, con la sua legge, ha reso più elitari, ristretti, gestiti da un piccolo gruppo di professori ordinari per ogni raggruppamento disciplinare. Se il ministro confonde gli scatti di anzianità con l’avanzamento di carriera (quindi il passaggio dal ruolo del ricercatore a quello del professore associato e a quello del professore ordinario) sorge a questo punto il dubbio che il ministro abbia graduato il suo intervento sul sistema universitario, da tre anni a questa parte, avendo solo una vaga idea di come esso abbia funzionato fino a oggi.


Noi come funziona lo sappiamo bene, e soprattutto sappiamo che dal gennaio 2011 sono stati congelati gli scatti delle retribuzioni di ricercatori e professori universitari, ben prima quindi dell’approvazione dei due regolamenti proclamati come una grande novità. Le retribuzioni sono state congelate, gli adeguamenti automatici ISTAT al costo della vita sono stati annullati, gli scatti stipendiali sono stati bloccati, e questo fino al 2013 compreso.

Fa sorridere questo sbandierare la meritocrazia mentre si decide, con atto rivolto esclusivamente ai docenti universitari, di bloccare le loro retribuzioni per tre anni, colpendo in maniera feroce soprattutto la componente più giovane della docenza universitaria.


Infine vogliamo far notare come si parli tanto della valutazione scientifica dei docenti universitari (che peraltro è già prevista dalla legge 1/2009, in una parte mai attuata per la mancata adozione del rispettivo regolamento) e non si dica una parola sulla valutazione della didattica che deve entrare a far parte a pieno titolo della valutazione dei singoli docenti/ricercatori.


Insomma, non ci siamo, si continua ad andare avanti a colpi di slogan ma la sostanza dei problemi viene elusa, quando non aggravata con decisioni che colpiscono, in maniera chirurgica, la pericolosa classe dei docenti universitari, ultimo baluardo, con la scuola, per la formazione di un pensiero libero e critico.


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