(Scarica QUI la lettera in versione PDF)

Onorevole Ministro,

la Rete 29 Aprile denuncia le numerose incongruenze derivate dall’applicazione dell’art.6, c.4, della legge 240/2010, che prevede l’adozione di regolamenti di ateneo per stabilire le modalità e la retribuzione della didattica svolta dai ricercatori. Le scelte locali su questi temi, inevitabilmente diverse da ateneo a ateneo, stanno infatti determinando una palese discriminazione tra dipendenti pubblici che svolgono, in modo continuativo e strutturato, la medesima attività lavorativa.

La legge 240/2010  prevede che la retribuzione sia determinata «nei limiti delle disponibilità di bilancio» di ciascun ateneo, ovvero senza ulteriori oneri per lo Stato, ma non stabilisce un congruo importo minimo, come invece è fissato, tramite decreto ministeriale, per gli assegni di ricerca (art. 22 c. 7) e i contratti d’insegnamento (art. 23 c. 2), generando di fatto differenti trattamenti retributivi fra i vari atenei.

L’assenza di un parametro di riferimento sta portando a una serie di criticità tra le quali:

1. l’inaccettabile sperequazione tra i ricercatori che svolgono analoghe attività di docenza curriculare in base alle risorse dell’ateneo di appartenenza, senza alcuna corrispondenza con la qualità e quantità del lavoro svolto. Alcuni atenei tendono a negare (contra legem) il diritto alla retribuzione, adducendo difficoltà di bilancio dovute alla riduzione del fondo di finanziamento ordinario legata alle ultime manovre finanziarie, mentre altri indicano importi puramente simbolici. Altre sedi decidono l’attribuzione di insegnamenti ad assegnisti e dottorandi a titolo gratuito, mentre altre ancora non emanano gli appositi regolamenti. Altre ancora hanno già assunto posizioni analoghe a quelle qui descritte e non ritengono di dover emanare nuovi regolamenti

2. L’adozione da parte di alcuni Atenei di regole o prassi tese a cancellare la necessità dell’accordo del ricercatore (prevista dell’art. 12, c. 3, L. 341/90) per l’assunzione di incarichi di insegnamento. Si configurano infatti sempre più spesso forzature delle norme per evitare che l’attività di insegnamento dei ricercatori appaia formalmente come tale: l’inclusione delle ore di didattica curricolare ex officio tra le ore di didattica integrativa obbligatoria, oppure la proposta ai ricercatori di sostituire i compiti di didattica integrativa previsti per legge con insegnamenti curriculari non retribuiti. In altre sedi inoltre si stabilisce un numero minimo di ore d’insegnamento a titolo gratuito per l’ottenimento del titolo di professore aggregato, limite oltre il quale è prevista una retribuzione. In tutti questi casi si giunge al limite del mobbing, suggerendo talora implicitamente e contra legem che senza attività didattica curriculare non ci saranno avanzamenti di carriera.

3. la penalizzazione dell’offerta formativa degli atenei per la trasformazione di insegnamenti cui sono attribuiti crediti formativi in didattica integrativa e non curriculare, a scapito degli studenti già seriamente penalizzati dal combinato disposto del DM 17/2010 e delle restrizioni di bilancio ex l. 133/2008.

4. una subdola e inammissibile contrattualizzazione de facto dei ricercatori a tempo indeterminato, nell’ambito delle loro attività didattiche, in contraddizione con il loro status giuridico e conseguente alla parcellizzazione delle sedi e delle prestazioni.

Rete 29 Aprile ha segnalato da tempo le contraddizioni della legislazione universitaria, da cui questi comportamenti traggono origine, rimaste peraltro irrisolte con l’applicazione della legge 240/2010. In particolare, il Ministero da un lato, a seguito del DM 386/2007, ha equiparato i ricercatori ai professori nel computo dei requisiti minimi per l’attivazione dei corsi di laurea, mettendo le basi per rendere nei fatti quasi un obbligo per i ricercatori il tenere incarichi d’insegnamento, incompatibilmente con il loro stato giuridico che richiede invece un esplicito consenso per l’assunzione di incarichi di didattica curriculare. Dall’altro ha comunque rigettato l’idea del ruolo unico della docenza, che avrebbe, tra le altre cose, riconosciuto ai ricercatori il loro ruolo fondamentale per la sostenibilità della offerta didattica degli atenei.

Inoltre, il riconoscimento della retribuzione aggiuntiva nei limiti delle attuali disponibilità di bilancio è vanificato dal pesante ridimensionamento del fondo di finanziamento ordinario.

Nell’attuale fase di stesura, discussione e approvazione dei regolamenti per evitare un consolidarsi delle distorsioni e delle pratiche sbagliate, R29A chiede che si introduca urgentemente il principio fondamentale di un’equa retribuzione, a partire dalla prima ora di didattica curriculare per ricercatori di ruolo e i docenti precari, secondo criteri minimi stabiliti a livello nazionale, mettendo nel contempo gli atenei nelle condizioni di sostenere la spesa. La definizione di un’equa retribuzione potrebbe essere fatta basandosi sulla differenza retributiva tra professori associati e ricercatori. Questo passaggio fondamentale consentirebbe, infatti, di arginare la corsa degli atenei al tamponamento delle carenze di organico per la copertura delle legittime esigenze didattiche attraverso la risorsa a basso costo del precariato accademico e del personale in pensione, soluzione che nel medio termine non potrà che avere effetti devastanti sulla qualità dell’offerta formativa dell’Università statale.

La Rete 29 Aprile, nel fare presente che il contributo dei ricercatori all’Università italiana in termini di didattica è stimabile in almeno un terzo del totale dell’offerta formativa, auspica che codesto Ministero fornisca dati precisi sui carichi di insegnamento da loro svolti, consentendo così una quantificazione corretta dell’onere economico dell’attuazione della L. 240/2010.

Infine, richiamando la differenza tra didattica integrativa e didattica curriculare (si rinvia alla mozione del CUN del 15 settembre 2010), R29A denuncia l’illegittimità di quei regolamenti che prevedono l’affidamento a ricercatori di incarichi di insegnamento, senza bandi o richieste ufficiali, assimilandoli a didattica integrativa.

Peraltro, l’art. 6, c. 4, L. 240/2010 ribadisce quanto stabilito dall’art. 12, c. 3, L. 341/90, poi ripreso senza modifiche dall’art. 1, c.11, L. 230/2005, sulla necessità del consenso del ricercatore ai fini dell’affidamento di didattica curriculare e dei compiti di tutorato e di didattica integrativa: appare quindi illegittima la previsione a livello di regolamenti di ateneo dell’affidamento forzoso di tali compiti.

Rete29Aprile si rende disponibile a un confronto con codesto Ministero per l’individuazione degli importi minimi per la retribuzione della didattica e per una compiuta definizione dei relativi effetti giuridici, nel presupposto che dall’attività didattica curriculare discendano obblighi e diritti di pari dignità con i docenti di prima e seconda fascia.

Rete 29 Aprile continuerà a monitorare l’applicazione normativa nei singoli atenei, sia verificando i regolamenti già approvati e quelli in via di approvazione, sia sostenendo e favorendo l’approvazione di regolamenti compatibili con le suddette posizioni.

In mancanza di un sollecito intervento del Ministero, e nel perdurare dell’assenza di una effettiva disponibilità al dialogo, R29A si riserva di utilizzare ogni mezzo consentito dalla legge per evidenziare pubblicamente le fortissime contraddizioni che la riforma, anziché risolvere, aggrava.

RingraziandoLa per l’attenzione e in attesa di un Suo riscontro, Le inviamo i nostri più distinti saluti.

6 giugno 2011

(la lettera p.c. è stata inviata anche al Presidente della CRUI, a tutti i Rettori delle Università italiane, ai Consiglieri del CUN)

(Scarica QUI la lettera in versione PDF)