Innanzi tutto ringraziamo la Commissione per aver convocato la Rete29Aprile e altre organizzazioni dell’Università per un’audizione su questi importantissimi testi normativi. Come sottolineeremo tra poco, l’ascolto ed il confronto su temi di questo tipo ci appaiono fondamentali; la prassi del Governo, contraria alle sue stesse dichiarazioni pubbliche, appare invece purtroppo orientata alla tendenziale chiusura ed autoreferenzialità, in questo in assoluta continuità con la precedente gestione.

I provvedimenti in discussione affrontano temi chiave, molto più politici che non tecnici, per il sistema pubblico della ricerca e dell’alta formazione, ma anche più in generale per la società italiana. Il diritto allo studio, ad esempio, è un elemento fondamentale e imprescindibile (come tale riconosciuto anche dalla nostra Costituzione) per la cittadinanza consapevole e una pietra angolare sulla quale si fondano le prospettive del Paese. Prospettive che devono essere garantite al Paese intero: la normativa attuale e anche quella qui in discussione mettono al centro, invece, parametri meramente contabili senza considerare lo sviluppo territoriale, che è assolutamente connesso con la formazione e la ricerca, e le negative ricadute in termini di costi sociali (si pensi, ad esempio, alle condizioni di gran parte degli atenei meridionali).

Come detto i provvedimenti oggi in discussione, solo apparentemente “tecnici”, nascondono invece scelte politiche ben precise, molto gravi e non apertamente dichiarate, perpetuando la stagione di provvedimenti che indeboliscono, fino a stroncarlo, il sistema dell’alta formazione e della ricerca pubblica.

Si procede, ancora una volta, attraverso l’introduzione di procedure e algoritmi che trasferiscono la responsabilità del cronico (e progressivo) sottofinanziamento di questo sistema dall’ambito delle grandi scelte politiche a quello delle gestioni locali. In altri termini – anche agli occhi dell’opinione pubblica – si parte dal presupposto che le Università italiane (talvolta) offrano un ambiente di studio e ricerca (rispetto ai relativi servizi, dotazioni, infrastrutture) meno competitivo di quelle dei paesi concorrenti non perché sono sottofinanziate, ma che, piuttosto, verrebbero sottofinanziate perché non offrono quegli standard. Si tratta di una logica che, com’è auto-evidente, lungi dal consentire un miglioramento del sistema non può che portare ad una continua spirale di crisi/provvedimenti draconiani imposti in cambio della concessione di finanziamenti per la sopravvivenza/crisi. Come infatti riporta la relazione che accompagna il decreto 437, il compito che il governo sembra essersi attribuito è “eliminare le strutture universitarie inefficienti”, piuttosto che quello, più fattivo e utile, di renderle efficienti. Un compito non condivisibile: sarebbe come voler semplicemente smantellare tutte le condutture idriche che perdono, anziché renderle pienamente funzionanti. E l’alta formazione, come l’acqua, ci sembra una risorsa fondamentale per la vita del paese, in grado di irrorarlo con cultura, innovazione e conoscenza, contribuendo dunque a creare occasioni di sviluppo. In Italia, è ampiamente noto, l’investimento in ricerca e alta formazione è nettamente inferiore a quello dei paesi concorrenti: un enorme spread che il governo, però, non sembra interessato a ridurre.

Nel merito:

in una situazione nella quale l’Università italiana avrebbe bisogno – ad unanime giudizio – dell’ingresso di forze giovani, che invece vanno ad arricchire il patrimonio di competenze, conoscenze, innovazioni di altri Paesi, il provvedimento 437 sclerotizza quanto era stato introdotto alla stregua di provvedimento emergenziale dalla legge 1/2009, che dava seguito alla legge 133/2008 (atti che, come si ricorderà, prefigurando durissimi colpi per il sistema universitario pubblico, avevano attivato il movimento dell’Onda): il blocco del reclutamento, con risorse impiegabili equivalenti al 50% di quelle liberate per pensionamenti. Il 437 prevede che questa logica, palesemente collegata ad un disinvestimento nel settore, divenga stabile; per di più è possibile stimare la percentuale media di risorse utilizzabili, in rapporto a quelle liberate da pensionamenti, a circa il 20%: in termini pratici per consentire l’accesso di 1 giovane ricercatore sarebbe necessario aver prima pensionato 5 professori, peggiorando evidentemente il già pessimo rapporto docenti/studenti e condannando molti giovani all’emigrazione.

Il decreto 437, inserendo il parametro al denominatore dell’ “algoritmo di virtuosità, favorisce poi le università che hanno le tasse studentesche più alte, invitando così indirettamente gli atenei ad aumentarle ancora, nonostante il nostro paese sia al terzo posto in Europa per contributi versati dagli studenti, agli ultimi posti per investimento pubblico in borse di studio e senza considerare l’effetto negativo che un innalzamento delle tasse universitarie comporterebbe sulla possibilità di diffusione di high skills, fondamentali in senso assoluto e particolarmente per l’uscita da una crisi come quella che oggi si registra. Questo avviene in una situazione in cui, nell’assoluto disinteresse del Ministero, molte Università (in parte per responsabilità dei governi che hanno ridotto i finanziamenti statali) violano una legge dello Stato che prevede che le tasse universitarie non debbano superare una quota del FFO. Il problema non è ignoto, tanto che è perfino trattato dalla relazione della CRUI (interlocutore privilegiato del Ministro) alla Commissione Cultura del Senato. Incredibilmente, anziché sottolinearsi, almeno per rispetto ad un tale contesto istituzionale, la necessità dell’osservanza delle leggi, oppure levare un alto richiamo alla necessità di maggiori investimenti nella ricerca e nell’alta formazione, una delle soluzioni prospettate dalla CRUI è… l’abolizione “pura e semplice” della norma violata. Riteniamo invece che sul peso della tassazione sugli studenti universitari sia necessario vigilare attentamente, mantenendo inalterato oppure riducendo il livello attuale. Sarebbe possibile, di pari passo con il conseguimento dell’obiettivo di una maggior fedeltà fiscale, e nell’invarianza o riduzione degli introiti complessivi, intervenire sullo scaglionamento delle tasse universitarie in base al reddito per favorire l’accesso all’alta formazione delle classi meno abbienti. Un incremento della tassazione è inaccettabile e comporterebbe conseguenze disastrose, particolarmente per l’Università pubblica in generale (favorendo notevolmente quella privata), ma anche sul tessuto sociale. E’ necessario ricordare come attualmente, per carenza di fondi dedicati, perpetuata anche nell’atto 436, non vi è neppure la copertura necessaria ad erogare le borse di studio a tutti gli studenti che ne avrebbero diritto, con una evidente violazione del dettato costituzionale. Anche in questo caso aleggia, come possibile soluzione, quella di modificare non lo stanziamento ma, in modo restrittivo, i requisiti richiesti in modo da ridurre il numero di aventi diritto.

Il decreto 437, attraverso il quale il governo non assume alcun impegno ad incrementare l’investimento in alta formazione e ricerca, prospettando invece nei fatti una continua riduzione, rende notevolmente ristretto l’ambito di manovra per gli Atenei pubblici favorendo oggettivamente quelli privati cui questa disposizione non si applica. Su questo punto ci permettiamo di evidenziare, sperando di non incorrere in un reato di “lesa maestà”, come figure di primissimo piano del Governo attuale abbiano svolto, svolgano o prevedano di tornare a svolgere un ruolo di peso in alcune Università private. In condizioni normali una tale situazione, su provvedimenti così fondamentali per il futuro del sistema universitario pubblico, dovrebbe consigliare l’attivazione di un confronto ampio e partecipato e di una fase di ascolto rispetto a chi ha dimostrato in questi anni di avere a cuore l’università pubblica (studenti, organizzazioni dei ricercatori e docenti, dei precari e degli studenti, della cittadinanza). Il governo, invece, ha interloquito esclusivamente con i presidenti (come riporta dettagliatamente la relazione illustrativa, sez. 2, arrivando a dar conto di quanto siano state considerate le rispettive opinioni) della CRUI (associazione di cui l’attuale Ministro faceva parte fino al momento dell’assegnazione della responsabilità ministeriale) e dell’ANVUR (organismo, come si sa, nominato dal Ministero, e finanziato quest’anno con 2 Mil€ tratti dall’FFO). Nessuna interlocuzione in proposito è stata avviata invece con il CUN (organo elettivo di rappresentanza del sistema universitario), organismo democratico ancora vigente ma apparentemente ignorato, né con le varie categorie universitarie, per quanto queste abbiano richiesto a più riprese l’attivazione di un canale di dialogo. Le prime parole del Ministro Profumo (“dialogherò con studenti e ricercatori”) restano tristemente lettera morta.

Per quanto riguarda la valutazione del sistema universitario, riteniamo che una valutazione centrata su misurazioni sia quantitative che bibliometriche, affidate semplicemente ad un’authority che risponde unicamente al Ministro (dal quale peraltro è nominata), non sia la via più corretta ed efficace per premiare il merito e stimolare la crescita scientifica e didattica degli atenei. La valutazione deve piuttosto servire a individuare analiticamente le criticità del sistema universitario per porvi rimedio in modo strutturale. Questo risultato non deve essere conseguito considerando la valutazione come uno strumento tecnico e punitivo per ridurre le risorse a disposizione di alcune strutture fino a impedir loro di svolgere la duplice funzione di didattica e ricerca.

Riassumendo le principali criticità che emergono dai due documenti:

* Si riducono in maniera drammatica le possibilità di reclutamento portando ad uno su cinque, in media, il rapporto reclutamenti/pensionamenti, posto che in realtà non si riscontra nessuna motivazione plausibile al divieto di utilizzo del pieno ammontare delle risorse risparmiate a causa dei pensionamenti. Condizione che sarebbe comunque restrittiva rispetto all’intenzione, spesso dichiarata, di provvedimenti a favore “dei giovani”. Occorre dire con chiarezza che è necessario iniziare ad investire di più, e non di meno, nel sistema pubblico dell’Università e della ricerca;

* Prospettano il mantenimento di livelli (comunque insufficienti) di reclutamento solo a patto del radicale innalzamento delle tasse, spingendo verso una soluzione sciagurata che avrebbe conseguenze di medio e lungo termine esiziali per il tessuto sociale, aggravando i costi per le famiglie (soprattutto quelle meno abbienti), già chiamate ad enormi sacrifici con l’occasione della crisi economica, e rappresentando un costo sociale di grande portata. Lo strumento dell’innalzamento delle tasse universitarie per rimediare al sottofinanziamento del sistema universitario è iniquo e socialmente inaccettabile. Per gli stessi motivi appare deleterio il ventilato ricorso al sistema dei prestiti d’onore: il diritto allo studio va tutelato con investimenti della comunità, e non creando dei debitori prima ancora che dei soggetti formati. Il beneficio ricadrà infatti sulla comunità stessa prima ancora che sui singoli.

* Sembrano muoversi in una logica di ranking tra atenei, sulla cui base modulare i finanziamenti e il reclutamento, sino ad “eliminare le strutture universitarie inefficienti”, anziché attivarsi per rendere efficienti le strutture stesse;

*Rafforzano indubitabilmente la tendenza verso il ridimensionamento del sistema universitario, vincolando le esigenze di programmazione a indicatori di “sostenibilità”, equilibrio nella composizione dell’organico, e vincoli di bilancio che nulla hanno a che vedere con la programmazione, bensì potenzialmente finiscono per definirla essi stessi. Vincoli di bilancio che dipendono, poi, dal finanziamento statale evidentemente improntato, per scelta politica, ad una continua riduzione.

L’Università italiana, con provvedimenti come questi, vede annullata di fatto quell’autonomia che dovrebbe essere invece rafforzata e tutelata; i residui spazi vengono compressi da una continua riduzione delle risorse e da una iper-burocratizzazione di ogni momento della vita degli atenei, la cui gestione viene coscientemente riservata a pochissimi.

A nostro avviso è fondamentale che le forze politiche percepiscano pienamente la gravità di questi provvedimenti, richiamando dunque esplicitamente il governo a rivalutarli, invitandolo a farlo assieme non soltanto al presidente della CRUI e quello dell’ANVUR, com’è avvenuto fino ad ora (atto 437, relazione illustrativa, Sezione 2), ma anche con il CUN e con tutti coloro che hanno dimostrato di avere a cuore l’Università pubblica, a partire dagli studenti, ai ricercatori (precari e non), ai professori di ruolo e in genere a tutte le componenti  davvero attive su questi temi. La Rete29Aprile, fino ad oggi, in occasioni analoghe è sempre entrata nel merito dei provvedimenti, suggerendo affinamenti ed emendamenti; un passaggio come questo, però, nel quale si incide su snodi assolutamente fondamentali del sistema dell’Università e della ricerca pubblica con effetti di breve, medio e lungo periodo, ci appare come una sorta di spartiacque: è in questi casi che, crediamo, si verifica la congruità tra le intenzioni manifestate e azioni concrete delle forze politiche; non è dunque possibile pensare di modificare il senso profondo di questi provvedimenti – né le modalità con le quali sono stati decisi – con affinamenti o emendamenti. Si tratta di scelte politiche assolutamente determinanti: chiediamo dunque alla politica che faccia prevalere la volontà di dialogo e di condivisione su principi come quelli che saranno regolati da queste norme. Diversamente né l’emergenza né il “tecnicismo” potranno surrogare la piena assunzione di responsabilità delle forze politiche che avranno favorito e reso possibile, coscientemente, il processo di verticizzazione, impoverimento ed implosione dell’Università pubblica come istituzione.

Rete29Aprile

Roma, 21 marzo 2012

[Audizione della Rete29Aprile presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati in merito agli Schemi di decreto legislativo recanti rispettivamente revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti (atto n. 436) e disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei (atto n. 437)]