A sentire le altisonanti dichiarazioni di svariati personaggi del mondo della politica, Ministro Profumo in testa, e dei responsabili dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), si starebbero finalmente facendo enormi passi in avanti per una seria valutazione del lavoro svolto dagli universitari e dalle Università italiane. Anche il Presidente Napolitano lo ribadiva il 25 settembre all’inaugurazione dell’anno scolastico. Il presupposto, ovviamente, è che siccome siamo in Italia chi va valutato è quasi obbligatoriamente un nullafacente, per non dire peggio. E’ innegabile che l’Università abbia pecche e vada rinnovata, come i giornali non perdono occasione di sottolineare quando ci sono problemi. Ci sono tuttavia anche cose che funzionano e che non si sottolineano perché, ovviamente, non fanno notizia. Dove va quindi tutto l’accento della valutazione? Sul fatto che nulla funziona e che il sistema va seriamente raddrizzato, quasi rifondato: questo è il perno intorno al quale viene costruito il nascente sistema di valutazione.

Per riuscirci, il Ministro per decreto inventa un criterio irrazionale (le mediane) e i ben pagati componenti dell’ANVUR si arrabattano per costruire il sistema secondo il quale una calcolatrice è (o dovrebbe essere) sufficiente per la valutazione.

Solo che, inevitabilmente, si scontrano subito con alcuni paradossi non banali, come la classificazione delle riviste scientifiche sulla base di criteri che diventano velocemente confusi. I tempi non sono rispettati, le procedure di decisione sono del tutto opache, i comunicati esplicativi vengono a ripetizione fatti e ritrattati, si ammette che le cose non sono fatte a regola d’arte, vengono violate apertamente le regole stabilite dall’ANVUR stessa. L’ultima perla è un elenco delle riviste “scientifiche” nel quale appare di tutto, dai quotidiani ai periodici più vari fino alle riviste prettamente clericali e di moda. Ma è inutile andare in tutti i dettagli: una rapida ricerca in rete ne fornisce più che in abbondanza a chi volesse approfondire.

Chi sta facendo della valutazione la sua bandiera sta quindi, nei fatti, solo contribuendo a far sprofondare nel ridicolo il mondo universitario, accentuandone a dismisura gli aspetti grotteschi di mal funzionamento e di comportamento baronale sempre più spinto. Sembra quasi che quanto di peggio c’è nel sistema universitario sia concentrato su coloro che stanno decidendo come fare la valutazione: arroganza, presunzione, refrattarietà alle critiche, approssimazione fatta a sistema. Ormai non c’è altra soluzione: chi questo sistema ha gestito, pensato e sostenuto, dai componenti dell’ANVUR al Ministro Profumo, deve dimettersi e andare a casa.

Le università italiane hanno bisogno urgente di ingressi di forze nuove e di poter valorizzare le capacità già in loro possesso, per sopravvivere e per riportare la propria forza lavoro (per ricerca e formazione) a livelli almeno confrontabili con quella degli altri paesi europei, situazione dalla quale, grazie alla riduzione dei finanziamenti e al perdurante blocco delle assunzioni, ci stiamo allontanando sempre più. Le abilitazioni dovevano servire a sbloccare il funzionamento del sistema, ma la caparbietà di chi crede in una assoluta quanto chimerica “oggettività della valutazione” ci porta in direzione opposta, verso una valanga di ricorsi verso queste procedure sempre più irreali.

Per fare valutazione, e valutazione ci vuole, servono umiltà, tempo e intelligenza. Serve prima di tutto decidere a quale scopo si fa la valutazione: per distruggere? Per licenziare la gente con una scusa? O piuttosto per individuare i punti di debolezza e capire come cambiare la situazione, anche garantendo una continuità del processo valutativo? Serve poi, di conseguenza, capire il contesto nel quale le persone lavorano, serve vedere (davvero) quello che è stato fatto, non facendo di ogni erba un fascio ma valutando realmente il lavoro delle persone. E’ necessario anche stabilire regole chiare e semplici dall’inizio, perché le regole non si inventano a posteriori riempiendole di cavilli per nascondere la propria inadeguatezza a trovare una soluzione efficace al problema. Maggiore è la complicazione, più facile è trovare una scappatoia. Valutare è un’operazione che richiede serietà e non improvvisazione gonfiando il nulla usando paroloni come foglia di fico. Verrebbe quasi da pensare che tutto sia fatto per arrivare a una situazione di blocco insostenibile nella quale, pur di non far crollare il sistema, sarà necessario aprire le porte delle assunzioni in tutta fretta facendo peggio di quello che c’è adesso. Noi non vogliamo che questo accada. Per evitarlo serve però sedersi tutti intorno a un tavolo, giocare a carte scoperte, rinunciare al vizio di pensare di sapere tutto, far tabula rasa dei pregiudizi e ripensare da capo un sistema che possa davvero funzionare, con regole semplici, chiare, note e trasparenti unite, naturalmente, a una vera responsabilizzazione dei decisori.