Il Ruolo unico: una rivoluzione necessaria
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La fase di disgregazione nella quale l’Università italiana è immersa ci sembra accelerata dal caos del processo delle abilitazioni. Una pericolosissima china appare imboccata. Tra settori scientifico-disciplinari che hanno visto abilitarsi la grandissima parte dei candidati e altri in cui si è registrata una “mattanza”, talvolta a causa di faide interne o in ragione dell’affermazione di un mainstream disciplinare non intenzionato a “fare prigionieri”, la fibrillazione degli esiti è sotto gli occhi di tutti. Questo processo farraginoso, mal congegnato e peggio realizzato lascerà sul campo colleghi sottoposti ad una pubblica gogna senza precedenti, non favorendo di certo lo spirito di impegno e sacrificio con il quale – quasi sempre ben oltre ciò che il ruolo prevede per legge – hanno generosamente contribuito a mantenere in piedi il sistema, pur aggredito da ogni lato. Per esempio ricercatori (ma anche associati) che, negli anni, hanno aiutato gli atenei accollandosi molti corsi, magari sacrificando parzialmente le attività di ricerca. Oggi gli si dice: “chi ve lo ha fatto fare”? Ma sullo stesso campo resteranno valanghe di ricorsi e saranno accese tensioni interne agli atenei dalla portata imprevedibile. La gran parte degli abilitati ha possibilità di chiamata tendenti a zero, e lo sa bene. Ed assisterà – si può ben immaginare con quale spirito – alla progressione di carriera di altri colleghi, che a parità di titolo abilitativo, avverrà rafforzando i poteri dei soliti pochissimi “che contano” e amplificando gli squilibri interni, tra persone, discipline, dipartimenti. I primi risultati delle abilitazioni dimostrano poi come, in massima parte, si sia registrata una penalizzazione degli attuali precari. E anche quando questi avessero conseguito l’agognata abilitazione, il meccanismo dei costi e dei punti organico scaricherà ancora una volta su di loro gran parte delle contraddizioni del sistema. Ma la suddivisione pseudo-gerarchica attualmente esistente nelle università, al centro di tutto questo insano processo, ha ancora ragion d’essere? Ha senso che ancora oggi la gran parte delle energie di moltissimi sia concentrata a “fare la scalata”, mirando ai rapporti “giusti”, alle ricerche “giuste” e ai comportamenti “giusti”? E’ utile? Aiuta una buona ricerca o una buona didattica? Come Rete29Aprile siamo convinti che la soluzione ci sia, e sia a portata di mano, ma occorre la volontà politica (sia interna, che esterna) di affrontare una rivoluzione necessaria: il Ruolo unico della docenza universitaria.

  In contrasto con quanto demagogicamente si è sentito ripetere fino alla nausea, bisogna riaffermare che i docenti che credono al loro mestiere sono numerosi e che essi non solo sono pronti ad accettare, ma sollecitano l’abolizione dei poteri individuali e di privilegi che sono approvati e difesi solo da coloro che hanno usato e tuttora usano l’Università, non come fine in sé, ma come strumento di ambizioni personali e di interessi materiali. Ci pare che sia giunto il momento in cui gli uomini di buona volontà – fra cui vi sono parecchi politici e parecchi docenti – compiano uno sforzo critico per combattere le tentazioni che provengono, da un lato, da impulsi demagogici e, dall’altro, da egoismi di gruppo”. (G. Illuminati, P. Sylos Labini, Proposte per la riforma universitaria, Edizioni di Comunità, Roma 1970,p. 5)

Le premesse: di che cosa stiamo parlando?

Entrando in un qualsiasi ateneo, visitando i laboratori, assistendo alle sessioni d’esami e alle sedute di laurea ci si imbatte in persone che fanno ricerca, che insegnano, che accompagnano gli studenti nel loro percorso di formazione e li seguono fino al raggiungimento dell’agognata laurea (spesso anche oltre). Chi non è “dietro le quinte” potrebbe non saperlo, ma questo personale docente e di ricerca è oggi suddiviso in diverse tipologie dai nomi altisonanti e non: Professori Ordinari, Professori Associati, Professori Aggregati, Ricercatori a tempo indeterminato, Ricercatori a tempo determinato, Professori a contratto, dottorandi e assegnisti di ricerca (le ultime quattro categorie possono anche definirsi “precari”). C’è un modo, seguendoli durante la giornata e curiosando in ciò che fanno, per comprendere chi appartiene a quale categoria? Non mentre si applicano alla ricerca, né mentre insegnano; non quando aiutano gli studenti, né quando, come universitari, si dedicano alla cosiddetta “terza missione”, ossia alla diffusione diretta delle conoscenze e dei saperi per il miglioramento della società. In tutte queste occasioni fanno le stesse identiche cose. Un modo diverso, però, esiste ed è osservarli in tre occasioni molto particolari: mentre aprono la busta paga (e allora la differenza è quasi sempre visibilissima); consultando le pagine web dei dipartimenti (ma talvolta la differenza non è poi così chiara se si approfondiscono i CV e l’elenco delle pubblicazioni); quando occorre scegliere le posizioni di vertice o comporre le commissioni di concorso. Su questi temi tornano fondamentali le denominazioni altisonanti e la gran parte delle persone attive negli atenei finisce per avere scarsa o nessuna voce in capitolo; né potrà averla in futuro, visto che il meccanismo è bloccato da anni e che il sistema delle abilitazioni anziché migliorare le cose sta provocando ulteriori, gravissimi problemi. Attualmente nella “carriera” universitaria le chances di un docente sono sempre legate al giudizio di chi gli è pari nelle attività ma non nelle funzioni decisionali. Questo non favorisce di certo il controllo diffuso o l’eventuale espressione del dissenso, volta ad evitare macroscopici errori nella gestione degli atenei, dei dipartimenti o dei settori disciplinari, né la libertà di ricerca.

Una definizione: il Ruolo unico[1]

Il Ruolo Unico è un sistema giuridico di organizzazione della docenza universitaria al cui centro è posta la persona, le sue capacità, il suo valore. Tutti coloro che rientrano nel ruolo di Docente unico hanno il titolo di Professore e gli stessi doveri di ricerca, didattica e servizio, avendo altresì uguali diritti e potendo tutti accedere alle medesime cariche accademiche. Il sistema è basato su una scala stipendiale progressiva i cui incrementi sono ottenibili attraverso procedure valutative non comparative che, durante tutta la carriera, tengono conto della ricerca, della didattica, della gestione e dell’esperienza maturata.

Compiti, ruoli, prerogative e retribuzioni * La tabella rappresenta il funzionamento attuale degli atenei; va osservato che i ricercatori a tempo indeterminato NON sono tenuti a gestire i corsi, essendo questa una competenza dei “Professori”. In realtà circa il 40% – poco meno di uno su due – dei corsi è tenuto da ricercatori. Questa prassi fa sì che si tenda a non assumere più Professori, traslando la gran parte delle funzioni della ricerca e didattica verso un infinito precariato. ** Il titolo di Aggregato (l. 230/05), puramente onorifico e senza alcuna incidenza né economica né di diritti, è attribuito ai ricercatori che tengono corsi (circa il 99%).

Compiti

Ruoli

Ricerca

Didattica frontale (che eroga cfu)

Relatore di tesi

Pratiche burocratiche

Professore Ordinario

Professore Associato

Ricercatore – Professore Aggregato**

sì*

Ricercatore a tempo determinato

Attribuzioni

Ruoli

Stipendio medio

Accesso alle commissioni di concorso (ASN)

Cariche e funzioni

Professore Ordinario

il più alto

Il solo a potersi candidare come Rettore; in diversi atenei anche come direttore di dipartimento e per molti altri ruoli di direzione e coordinamento. Partecipa sempre a tutte le decisioni.

Professore Associato

intermedio

no

In diversi atenei può avere ruoli di direzione o coordinamento solo se non ci sono ordinari a volerli. Non partecipa alle decisioni sulle “chiamate” di Ordinari

Ricercatore

Professore Aggregato

basso

no

Non partecipa alle decisioni sulle “chiamate” di Ordinari e Associati, spesso neppure dei ricercatori a tempo determinato. Tranne che in pochi atenei, può avere ruoli di direzione o coordinamento solo se non ci sono Ordinari o Associati a volerli.

Ricercatore a tempo determinato

basso

no

Non partecipa alle decisioni sulle “chiamate”. Generalmente non può avere ruoli di direzione o coordinamento.

Perché il Ruolo unico è una rivoluzione copernicana?

Come si sarà compreso, finora l’Università italiana ha ruotato intorno ad un falso centro, quello costituito da una gerarchia di ruoli – Ordinario, Associato e Ricercatore. Falso perché ciò che succede normalmente è che, indipendentemente da questi “gradi”, tutti fanno più o meno le stesse cose: tutti insegnano, tutti hanno (nei limiti di legge) ruoli istituzionali nella gestione degli Atenei, tutti fanno ricerca con ruoli di responsabilità dipendenti dal loro valore e non dalla loro posizione accademica. Il Docente unico perciò non fa altro che svelare uno stato di fatto, mettendo al centro dell’Università l’unico “sole” che ha veramente senso considerare: la persona. Invece dei “gradi”, contano la competenza e l’esperienza personale e il contributo che si è in grado di dare alla comunità universitaria. L’Università torna alla sua condizione fondativa: nelle prime Università al mondo (quelle italiane) Universitas significava “comunità tra pari”.

Chi ha paura del Ruolo unico, e perché?

Ha paura del Docente unico quella cerchia di universitari che nel tempo ha accumulato posizioni di comando e di governo che vuole preservare. Ha paura del Ruolo Unico quella cerchia di universitari che ritiene giusto che gli atenei siano governati da pochi perché “troppa democrazia fa male”. Ha paura del Docente unico quella parte di universitari che associa al proprio ruolo accademico qualifiche professionali esterne all’università, utilizzando il ruolo universitario unicamente per trarre lustro (e profitto) a favore dell’attività esterna. Ha paura del Ruolo unico quella cerchia di universitari che ritiene che solo i più “anziani” possano selezionare i giovani migliori. Apprezzano invece l’idea del Docente unico quei (moltissimi) Maestri che hanno saputo fondare le loro scuole di ricerca e di pensiero su pratiche di condivisione e di diffusione, e che per questo godono di rispetto e autorevolezza tra coloro che si considerano – dal punto di vista formativo – loro “allievi”, e tra diverse generazioni di studenti che ne apprezzano l’impegno.

Perché fa bene agli atenei?

Il Ruolo unico fa bene agli atenei perché la partecipazione alle decisioni e la condivisione delle informazioni e delle responsabilità sono elementi chiave per stimolare un atteggiamento costruttivo e propositivo di tutte le persone coinvolte nel loro funzionamento. Se tutti appartengono allo stesso modo ad una comunità, tutti si sentono responsabili per essa poiché ne sono egualmente coinvolti nei successi e negli insuccessi. L’attuazione di una vera autonomia universitaria responsabile richiede consapevolezza e condivisione, poiché le scelte di oggi in merito alla didattica e alla ricerca hanno ricadute su tempi ben più lunghi dei mandati dei rettori e degli organi accademici che le attuano. Il Docente unico implica un controllo diffuso delle politiche e delle pratiche d’ateneo (che oggi sono frutto di decisioni opache e oligarchiche), migliorando la funzionalità del sistema. Oggi, le ricadute negative delle scelte di pochi colpiscono soprattutto coloro i quali quelle scelte le hanno soltanto subite.

Perché è importante per gli studenti?

La qualità della didattica dipende da molti fattori. Sicuramente è fondamentale un’efficace selezione dei docenti in ingresso. Con il Ruolo Unico, sarebbero molte di più le persone coinvolte in questo momento decisivo, responsabilizzando innanzitutto le strutture, e rendendo molto più difficili le pratiche malsane alle quali i quotidiani danno ampia risonanza. Inoltre, nell’attuale sistema l’avanzamento di carriera è prevalentemente basato sulla valutazione della ricerca. Le università, tuttavia, non sono soltanto enti di ricerca ma istituzioni che vivono di un rapporto virtuoso e bilanciato tra la funzione didattica e di servizio agli studenti e quella di ricerca. Per questo è cruciale il modo in cui si attribuiscono i singoli insegnamenti ai docenti e come si costruisce l’offerta formativa: in base a gerarchie presupposte (nessuna legge le impone, ma si instaurano di fatto, visto il potere di alcuni su altri) o alle reali competenze di ognuno? Il Docente unico permette a tutti di esprimersi con eguale autorevolezza anche su temi decisivi per gli studenti come l’offerta formativa, la definizione dei profili didattici dei corsi di studio, i servizi agli studenti. Nella situazione attuale, invece, le dinamiche sono spesso diverse: le discipline pesano differentemente ai fini del reclutamento e delle carriere o della programmazione dell’offerta formativa non tanto sulla base delle esigenze didattiche o di ricerca, ma in funzione del “peso” accademico del docente che le ricopre.

Il pieno riconoscimento dell’insieme delle funzioni di ricerca, didattica e servizio nel percorso di valutazione del docente universitario è favorito dal Ruolo Unico della docenza. Infine, i giochi di potere che sottendono il sistema di promozioni di fascia su base comparativa ingenerano frustrazioni, astii e risentimenti che certo non giovano alla motivazione dei docenti e alla qualità della loro didattica.

Il Docente unico, diversamente dal sistema attuale, incentiva i docenti a collaborare sia sul piano della ricerca che su quello della didattica: da potenziali “antagonisti” sul percorso della carriera a “membri di una squadra”, i cui successi – sia nella didattica che nella ricerca – vanno a beneficio di tutti i componenti. Ogni nuovo ricercatore non sarebbe “un potenziale avversario” in una prospettiva di “carriera” sempre più incerta, ma una grande opportunità per moltiplicare le capacità di ricerca e migliorare la didattica.

Perché è importante per la società?

Il Ruolo Unico rende più dinamica e più equa l’università, e di riflesso l’intera società, perché l’innovazione e la formazione sono la base del futuro. La ricerca funziona quando è libera, e può essere libera solo se la decisione su cosa e come ricercare è diffusa e partecipata. Il sistema attuale concentra il potere accademico nelle mani di una minoranza, spesso più interessata a gestire ed espandere questo potere che al reale progresso della scienza. Solo rompendo questo meccanismo i docenti più giovani saranno liberi di impegnare tutte le proprie forze per realizzare la vera innovazione.

Se si vuole che i giovani imparino la collaborazione piuttosto che la competizione, il pensiero critico piuttosto che la sottomissione all’autorità, non dovrebbero essere incoraggiati questi comportamenti prima di tutto nei loro docenti? Una progressione di carriera svincolata da procedure comparative, oltre a favorire la collaborazione, permetterebbe di usare tutte le risorse liberate dal turnover per nuove assunzioni: il precariato infinito e senza sbocchi e la scarsissima apertura verso nuovi – e innovativi – apporti sono oggi i problemi principali, che il Docente unico contribuirebbe a risolvere. Uscire dal feudalesimo senza sprofondare nel liberismo: questa è la sfida.

Come “fare” il Ruolo Unico?

Per arrivare al Docente unico è necessario rivedere l’architettura delle gerarchie e delle funzioni della docenza universitaria. Si discute oggi di una nuova legge che dovrebbe riguardare gli atenei: potrebbe essere l’occasione per intraprendere la direzione giusta. Con l’introduzione di un Ruolo Unico della docenza universitaria si disinnescherebbe l’assurdo “tutti contro tutti” scatenato dalle cosiddette abilitazioni scientifiche nazionali, specchietto per le allodole puntato su chi, da molti anni, tiene in piedi gli atenei accollandosi compiti che, stando alla legge, non gli sarebbero dovuti e che per giunta non gli vengono affatto riconosciuti sul piano dei diritti. Occorre che la società torni a considerare l’università come una opportunità per tutti, e non soltanto quel luogo dal quale, di tanto in tanto, emergono degli scandali di cui la quasi totalità di chi ci lavora non può far altro che vergognarsi, dato che il sistema attuale non lascia praticamente nessuna potenzialità di azione concreta. Il che significa, in altri termini, che serve un intervento normativo, che non può però essere affidato a coloro che fino ad oggi hanno imperversato negli atenei: occorre ascoltare gli studenti, il personale precario e quello già in servizio, il CUN. Da troppo tempo chi ha la responsabilità di definire le normative identifica erroneamente il sistema universitario con i soliti potentati accademici, e con questi concorda ogni innovazione, che risulta immancabilmente peggiorativa.

I falsi argomenti spesso usati “contro” il Ruolo Unico

VOI VOLETE L’OPE LEGIS! – Assolutamente falso: proponiamo molto più semplicemente che gli atenei siano coerenti con le loro scelte. Se un ricercatore è considerato “degno” di tenere uno o più corsi al pari dei colleghi professori, evidentemente è già considerato un professore perché svolge quel ruolo in modo stabile e continuativo. Perfino la legge gli riconosce questo appellativo (professore aggregato, per l’esattezza), ma, senza i diritti e la retribuzione corrispondenti, resta soltanto una presa in giro. Il Docente unico prevede valutazioni continue e ricorrenti di tutti per ottenere degli incrementi stipendiali.

TUTTI GENERALI? QUALCUNO CHE COMANDI CI VUOLE! – Anche questa è una falsa argomentazione. Già oggi nei dipartimenti (il “cuore” degli atenei) vige, in teoria, la completa uguaglianza (ad eccezione delle procedure di chiamata che prevedono che il Consiglio di dipartimento si riunisca in una composizione ristretta alle fasce uguali o più elevate di quella chiamata); il direttore di Dipartimento viene eletto da tutti i membri del Consiglio (anche se in molti atenei, curiosamente, vista la parità operativa, i ricercatori e talvolta anche gli associati non possono essere eletti, a meno che la carica venga snobbata dagli ordinari), e così sarebbe anche con il Docente unico. Da questo punto di vista l’organizzazione degli atenei non ne sarebbe sconvolta: molto più semplicemente si renderebbe effettiva quell’uguaglianza che oggi è solo di facciata. L’uguaglianza, declinata sotto il principio dei “pari”, è anche la norma internazionale per la ricerca. Le riviste internazionali praticano la peer review, che prevede che ogni proposta di pubblicazione venga valutata da ricercatori competenti, senza porre alcuna limitazione di “ruolo” o di “galloni”.

A cura di: ADI, ADU, ANDU, ARTeD, CIPUR, CISL-Università, CNRU, CNU, COBAS-Pubblico Impiego, CoNPAss, CSA-CISAL Università, FLC-CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Docenti, SUN-Universitas News, UDU, UGL-INTESA FP, UIL – RUA


[1] Come sinonimo di “Ruolo unico” viene utilizzata anche l’espressione “Docente unico”.