Il 14 marzo è scaduto il termine per il conferimento dei “prodotti” nell’ambito della procedura VQR 2011-2014. Come si sa, questo “esercizio di valutazione” è stato oggetto di numerose critiche riguardanti sia l’insensatezza e l’insostenibilità scientifica della metodologia seguita, unica al mondo, sia l’incoerenza con l’obiettivo di uno sviluppo equilibrato del sistema universitario italiano. A queste critiche non è mai stata data risposta né dall’ANVUR né dai Rettori. Pur in presenza di significativi distinguo, questi ultimi, a fondamento delle sempre più pressanti spinte a partecipare (si è giunti al caricamento coatto dei lavori), hanno utilizzato una unica, alata e profonda  argomentazione: “altrimenti non ci danno i soldi”. Di fronte a tanta scienza (e a vere e proprie minacce, come il taglio dei fondi di ricerca, l’uso illegale della VQR individuale per le più svariate ritorsioni) molti colleghi che hanno espresso pesantissime riserve sulla procedura si sono visti comunque inseriti, obtorto collo, nei famosi tabellini che serviranno a stabilire le solite classifiche. I primi dati nulla dicono di queste dubbie pratiche, che pure hanno in molti casi riguardato tra il 10 e il 20% dei conferimenti e che potranno avere rilievo nei tribunali amministrativi.

Il fatto sorprendente è che, nonostante questo, il dato finale delle astensioni è comparativamente altissimo, tanto da rendere palesemente inutilizzabile il costosissimo “esercizio” di valutazione (le stime andavano  dai 70 Mil€ ai 300 Mil€ per l’edizione precedente, e le complicazioni aggiunte, come l’Orcid e Iris, renderanno la spesa odierna sicuramente più alta). Cosciente del pericolo (già segnalato in precedenza, come vedremo in seguito), l’ANVUR è corsa ad inviare alla stampa quella che appare una “smentita preventiva” pubblicando con inusuale solerzia i dati dei conferimenti (nel documento – con la cura e la serietà cui l’Agenzia ci ha ormai abituato – le stesse identiche tabelle erano state incollate due volte di fila, salvo poi modificare l’allegato senza darne avvertimento).

Con questi dati però, nonostante una certa parvenza di soddisfazione, l’ANVUR sconfessa l’ANVUR. Il 1 dicembre 2015, infatti, con una sorprendente delibera (n. 15) a procedura ampiamente aperta, il Presidente dell’ANVUR ritornava sui suoi passi  rimuovendo l’obbligodell’identificativo ORCID per poter partecipare alla procedura, come espressamente previsto dal bando tra i requisiti. Perché un dietrofront così clamoroso, che probabilmente non mancherà di fornire anch’esso lavoro ai tribunali amministrativi (dei quali, peraltro, l’ANVUR è divenuto uno dei principali fornitori)? Per una ragione, importante, suprema: tutelare la completezza e l’accuratezza della valutazione, evitando squilibri che avrebbero inficiato i risultati. Nelle motivazioni dell’eccezionale provvedimento si legge infatti:

[…]

TENUTO  CONTO che  alla chiusura  delle  operazioni  di accreditamento degli  addetti  alla ricerca,  prevista  in data 30 novembre  2015,  il  96%  di  tali  addetti  ha  acquisito  l’identificativo ORCID;

CONSIDERATO che una valutazione completa ed accurata della ricerca prodotta da Atenei ed Enti di Ricerca costituisce interesse generale degli stessi, anche alla luce degli effetti che ciò avrà sul loro finanziamento;

[…] al  fine  di  evitare squilibri,  sia  pur  piccoli, del processo  valutativo […] potranno essere accreditati anche coloro che non posseggono l’identificativo ORCID.

 

Il 1 dicembre, dunque, l’ANVUR considerava quel 4% di colleghi che non sarebbero stati valutabili, perché privi di ORCID, come uno squilibrio del processo valutativocapace di minare una “valutazione completa ed accurata della ricerca”; squilibrio tanto più dannoso poiché la procedura ha pesanti ricadute sui finanziamenti.

Poco più di 3 mesi dopo, però, l’ANVUR comunica dati, che, se si utilizza lo stesso metro dell’Agenzia espresso nel mese di Dicembre, non possono che definirsi disastrosi sia in termini di completezza dell’informazione raccolta che di squilibri nei risultati prodotti: la media nazionale di non conferimenti dei prodotti attesi è non il 4%, com’era il dato ORCID, considerato talmente serio da contravvenire alle prescrizioni del bando, ma il doppio: l’8%. Inoltre si registrano fortissimi squilibri (sì, quelli temuti dall’ANVUR a Dicembre) tra i diversi atenei. Squilibri che  balzano agli occhi scorrendo la tabella: per fornire un dato, il valore della deviazione standard tra le percentuali di conferimento passa dal 3.3 nella edizione precedente al 9,2 per la VQR 2011-2014, sostanzialmente triplicando la differenziazione tra gli atenei rispetto alle percentuali di dati raccolti (la polverizzazione risulta chiarissima dal grafico seguente). A questo va aggiunta la considerazione che molti ricercatori non hanno operato personalmente le scelte dei lavori da conferire, o lo hanno fatto senza seguire i criteri, spesso balzani, di “qualità” suggeriti dall’Agenzia.  

 

[sull’asse delle ascisse sono riportati gli atenei; per ciascuno di essi, sulle ordinate, sono riportate le percentuali di inserimento della precedente VQR (tondino nero) e quelle registrate alla chiusura del termine (X rossa). Si può notare come la protesta VQR abbia comportato, in moltissimi casi, percentuali di inserimento più basse di quelle della tornata precedente (ciò avviene ogni qualvolta la X rossa è sotto al pallino nero]

È dunque innegabile il fatto che, secondo gli stessi criteri espressi dall’Anvur, la VQR 2011-2014 non sarà né completa né accurata, e che gli squilibri inficeranno irrimediabilmente il risultato prodotto, ottenendo che la quota premiale rifletterà non la qualità della ricerca prodotta nei dipartimenti ma la pressione esercitata dai vertici  sui ricercatori delle istituzioni che dirigono. Per questo chiediamo:

– che la CRUI si esprima da subito conseguentemente, evitando le penose scene di Rettori “sceriffi” che fanno a gara tra di loro ad esercitare il maggior sforzo impositivo senza ascoltare le ragioni di chi protesta, salvo poi utilizzare quelle stesse ragioni in sede di ricorso amministrativo una volta che sarà nota la penalizzazione per il loro ateneo;

– che l’ANVUR ammetta ciò che è evidente e che aveva mostrato di comprendere bene nel dicembre 2015, ovvero che una VQR così squilibrata non si può ritenere né completa né accurata, e quindi inadatta ai fini della distribuzione delle risorse;

– che il Ministero prenda atto di quanto sta avvenendo, e, reagendo per una volta in modo tempestivo (ed evitando rilevantissime spese di contenzioso e relative lungaggini) assuma che questo inattendibile esercizio di valutazione non può essere utilizzato per l’assegnazione di fondi agli atenei né, all’interno di essi, per l’attribuzione di risorse alle strutture e ai singoli.

Invece che delegare acriticamente scelte politiche ad una agenzia screditata, il ministero disponga quello che sarebbe dovuto essere il fondamento di qualsiasi procedura valutativa e disponga immediatamente la creazione della Anagrafe della ricerca universitaria come fonte di dati pubblica e trasparente. Il sistema di valutazione dev’essere equo, affidabile e condiviso, e deve avere per obiettivo uno sviluppo equilibrato del sistema universitario italiano, non essere occasione di fallimentari esperimenti e strumento di disgregazione del sistema stesso.

Confidiamo che tutti questi attori vogliano prendere in considerazione le proposte della Rete29Aprile e valutare seriamente le criticità del processo VQR, iniziando finalmente a lavorare davvero per un sistema universitario migliore e più equilibrato. Un sistema che dia sostanza alla previsione costituzionale sul diritto allo studio, che offra opportunità sia a chi già ci lavora sia a chi ha le qualità per lavorarci, rifuggendo alla misera e miope soluzione della precarizzazione. Un sistema basato sull’etica pubblica, che non miri ad escludere parti del Paese ma a rafforzarne la struttura sociale e territoriale.