{jcomments on}Pubblichiamo un comunicato del CUdA di Catania (vedi anche: http://blog.ctzen.it/fuoridalcoro/2012/10/04/l%E2%80%99universita-della-paura-il-rettore-il-cda-e-la-liberta-di-parola/).

segnaliamo anche, sullo stesso tema, il post di Piero Graglia sul blog della Rete29Aprile sul Fatto Quotidiano (QUI)

L’Università della paura: il rettore, il Cda e la libertà di parola

Il 28 settembre 2012 il CDA dell’Università di Catania ha emanato le “linee guida comportamentali nel caso di apertura di procedimenti disciplinari.”

Tali linee guida sono una pura e semplice vergogna per qualsiasi istituzione di un paese che voglia dirsi civile. In esse si dichiara di volere evitare l’esercizio di “interferenze esterne” nel corso dei procedimenti disciplinari regolati ai sensi della legge 240/2010.

“Interferenze esterne sul regolare svolgimento e la corretta conclusione del procedimento disciplinare si determinano – recita il provvedimento – senz’altro allorquando vengono avviati pubblici dibattiti, siano organizzate assemblee di docenti, siano coinvolti organi istituzionali o, finanche,  organi  di  informazione,  con  il  rischio,  soprattutto  in  quest’ultimo  caso,  di  gettare discredito sull’intera istituzione universitaria.”

Al fine di scongiurare il contagioso diffondersi della libertà di parola e di espressione – sancita dall’art. 21 della nostra Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”) – le “linee guida” stabiliscono e minacciano “la possibilità che i competenti organi dell’ateneo (N.B.: il rettore stesso e le commissioni di disciplina da lui compulsate) avviino un autonomo procedimento disciplinare qualora dette interferenze si traducano in vere e proprie strumentalizzazioni a danno dell’istituzione universitaria.”

Traduciamolo in italiano; il rettore dell’Università di Catania vuole avere libertà di mettere sotto azione disciplinare chi  vuole, come vuole e  quando vuole; non  basta: chiunque sindachi tale esercizio di potere sarà sottoposto, a sua volta, ad azione disciplinare con rischi di sanzioni fino a sei mesi di sospensione dello stipendio e tutti gli effetti di legge conseguenti. A decidere, infine, se l’improbo esercizio di libero pensiero configuri una “strumentalizzazione a danno dell’istituzione” (formula contorta, mal scritta e ancor peggio pensata) sarà, ovviamente, il rettore stesso… La logica è, come al solito, stringente… E non manca una involontaria, tragicomica sfiducia, culturalmente perniciosa, nei confronti di chi (come un bambino) si lascerebbe “influenzare” (o corrompere, alla faccia della terzietà del giudizio disciplinare).

Ci chiediamo e chiediamo a chi vive e lavora all’università di Catania, ma anche a tutti i cittadini avvertiti della nostra comunità: cosa getta più discredito sull’istituzione universitaria: un abuso unico in Italia dell’esercizio disciplinare – come nel caso dei presidi Di Cataldo e Famoso, colpevoli di non aver approvato, come era loro diritto, scelte del rettore e colpiti da provvedimenti inconsistenti, inefficaci e ineffettivi – o la difesa costituzionalmente prevista dei propri diritti? Un dibattito franco e democratico o un rettore che teme la libertà di parola, si trincera in una cittadella di Yes Men, non trova conflitto di interesse nell’essere il fratello a capo della TV dell’Ateneo e non avvia provvedimento alcuno contro chi diffonde messaggi elettorali (del suo partito, guarda caso) utilizzando la mailing list studentesca (protetta dalle leggi in tema di privacy)? E’ più grave che singoli docenti difendano il proprio operato in qualsiasi luogo e nei limiti previsti dalla legge o che un rettore che si è fatto eleggere impegnandosi a tenere fuori la politica dall’accademia si appresti a candidarsi (tenendosi stretta la carica fino ad elezione avvenuta)?

Perché è questo il punto, nascosto dietro la fregola “comportamentale”: il rettore si sta candidando e non si accorge, vogliamo sperare, di piegare tutta l’istituzione a tale fine. Teme, evidentemente, che qualche colpo di coda gli guasti il “gran salto” nei salotti buoni.

Ci pare dunque necessario rivolgere un duplice appello:

Gentile rettore, si candidi, non si candidi, faccia ciò che vuole, ma lasci stare principi non disponibili e diritti irrinunciabili della persona; il suo CDA può deliberare ciò che vuole, ma la Costituzione viene prima; quella Costituzione, le rammentiamo, che recita all’art. 28: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti.” Se lei e il Cda non ritirerete tale indegna norma adiremo le vie legali. A nessuno è consentito trasformare l’Università, alta istituzione della Repubblica, in luogo di privazione dei più elementari diritti di cittadinanza civile.

Cari colleghi, docenti, studenti, precari e personale tecnico-amministrativo, cari concittadini e forze politiche della città (a partire dall’UDC): non chiudiamo gli occhi vigliaccamente dinanzi alle cose gravissime che stanno accadendo. Nessuno si tiri fuori, tutti portiamo una responsabilità e a tutti viene chiesto conto, anche nel piccolo di “ciò che è stato”.

Il CUdA promuoverà assemblee e incontri nei dipartimenti e nelle realtà universitarie della città su tale gravissimo provvedimento e chiederà incontri alle forze politiche, sociali e istituzionali.

Ci pare il minimo. E chi minimizza o grida alla “strumentalizzazione” abbia, almeno stavolta, la dignità di tacere. 

Il CUdA (Coordinamento di ricercatori, docenti, precari, studenti e personale T.A. dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica libera, aperta, plurale e democratica).