La Rete29aprile, fin dalla sua fondazione, ha promosso un’università pubblica in cui la valutazione, lungi dall’essere rifiutata, fosse tra gli strumenti utili a valorizzare gli sforzi che migliaia di ricercatori compiono ogni giorno per permettere agli Atenei lo svolgimento dei loro compiti istituzionali in un contesto culturale ed economico che raramente li stimola e apprezza.

L’azione portata avanti dal primo direttivo dell’ANVUR ha avuto ben altri tratti: una valutazione muscolare, burocratica, distorsiva, che ha spesso dato la sensazione di essere “contro” e non “per” il sistema universitario, ideologica nella misura in cui è sembrata porsi come obiettivo la differenziazione degli Atenei italiani secondo modelli che non fanno parte della tradizione europea. Una valutazione che, di fatto, ha assunto il compito di ammantare con una pretesa oggettività “tecnica” pesantissimi tagli ai finanziamenti di Università e ricerca, frutto di scelte politiche d’ogni colore (sotto la falsa parola d’ordine di “premialità”) e di dare nuova forma a vecchie pratiche di potere accademico (VQR, ASN).

Inoltre l’ANVUR, con il tacito assenso della politica e dei vertici universitari, si è assunta compiti che non le competono e che non trovano riscontro in nessun’altro organismo di valutazione del mondo. L’agenzia, ad esempio, non dovrebbe occuparsi di valutazione individuale dei docenti: questa è compito della comunità accademica tramite i concorsi; l’ANVUR dovrebbe valutare le strutture (atenei e dipartimenti) sulla base delle scelte autonome da esse compiute. L’obiettivo non dovrebbe essere la valutazione delle “eccellenze”, intese come le migliori pubblicazioni espresse dalle strutture, ma la valutazione della media della qualità della ricerca, perché l’interesse generale del Paese è quello di far crescere quest’ultima, non distribuire premi ai top scientists. L’ANVUR dovrebbe, inoltre, abbandonarel’utilizzo della bibliometria come unico criterio di valutazione, strategia deresponsabilizzante e di facile applicazione, ma ampiamente screditata e, in molti casi, addirittura dannosa. Essa infatti produce effetti fortemente distorsivi nelle modalità di produzione della ricerca, i cui primi risultati sono già percepibili.

 

Per queste ed altre ragioni, riteniamo che l’ANVUR andrebbe radicalmente rifondata, sostituita da un’agenzia realmente indipendente che aiuti le strutture accademiche a sfruttare al meglio il loro potenziale e non miri a sottrarre potere decisionale (e responsabilità) alle autorità politiche da un lato ed ai vertici universitari dall’altro. Data questa premessa non possiamo che prendere atto che l’ANVUR è comunque destinata a restare un attore importante almeno nel prossimo futuro, e pur, non rinunciando a chiedere una modifica radicale della legge Gelmini  che ne fornisce il supporto normativo, crediamo sia importante minimizzare le ferite che è in grado di apportare al sistema universitario. Per questo motivo l’imminente rinnovo del consiglio direttivo dell’ANVUR non è visto da R29A come un normale avvicendamento di persone, ma come un passo fondamentale che rivelerà le intenzioni del Governo rispetto all’Università.

Bisogna evitare che l’ANVUR venga usata come strumento di divisione delle università in research e teaching university; che i membri del Consiglio, lungi dalla logica di “agenzia terza”, puntino piuttosto a forzare modifiche di sistema, a ridurre la numerosità degli atenei e dei corsi studio. Non è accettabile che l’Agenzia abbia come modello un’università di elite,il cui accesso è permesso a sempre meno studenti che devono pagare sempre più tasse. Non è accettabile imporre tramite l’ANVUR un modello fatto di poche università, concentrate nel Nord del Paese, che attraggono i migliori studenti del Meridione. Non è accettabile che si privilegi, in luogo della più ampia cooperazione, caratteristica delle scienze, una durissima quanto controproducente competizione “darwiniana”.

 

L’analisi degli elaborati presentati dai candidati al Consiglio direttivo (QUI tutti i curricola e le “visioni” sulla valutazione) mostra come queste inaccettabili posizioni siano espresse da alcuni candidati, i cui profili e la cui visione della valutazione, dunque, andrebbero analizzati con grande attenzione. Da una prima analisi dei 15 nominativi indicati dal Comitato di Selezione appare evidente come la Ministra abbia l’opportunità di scegliere tra personalità con una visione della valutazione – e più in generale dell’Università – molto diversa, potendo quindi scegliere fra la continuità o la discontinuità rispetto a quanto è stato fatto finora.

Vediamo, ad esempio, che nell’elenco sono presenti tre docenti di fisica. Uno di loro, Fabio Beltram, Rettore della Scuola Normale, non individua elementi di criticità nell’azione precedente dell’ANVUR, ma anzi propone che l’Agenzia estenda i suoi orizzonti occupandosi di valutazione individuale dei docenti; sembra anche interessato all’uso della valutazione per premiare la sola “eccellenza”, e pare convinto dell’esistenza di una valutazione “truly objective” basata su criteri bibliometrici che secondo lui andrebbero estesi nel tempo anche alle aree umanistiche e delle scienze sociali.

Fra gli economisti spicca il nome di Daniele Checchi, già componente del GEV di area 13, gruppo che tante divisioni e polemiche aveva provocato in quell’area. Secondo Checchi “apparirebbe conveniente, a mio parere, accompagnare e persino incoraggiare un processo di differenziazione degli atenei, a partire dall’adozione di requisiti differenziati: per limitarci ad una distinzione presente in letteratura tra teaching universities e research universities […]”. Affermazione pesante che denota una linea di indirizzo che esula del tutto dai compiti dell’agenzia di valutazione. Vuole forse Checchi sostituirsi al Ministero dettandone le politiche universitarie? Anche nel caso degli economisti osserviamo, dalla lista, come la Ministra abbia delle alternative di segno opposto. Anche se, forse, la tentazione di incidere sul sistema attraverso uno strumento apparentemente “tecnico”, evitando di assumersi apertamente  la responsabilità della relativa scelta politica, potrebbe essere assai forte.

Proponendoci di tornare più specificamente sull’importante argomento della selezione dei nuovi Consiglieri (in particolare prendendo in esame alcuni elementi di contesto: ad esempio appare impossibile che il Governo si assuma la responsabilità di non inserire nel Direttivo colleghi di atenei meridionali; ci sono poi vincoli di legge per l’equilibrio di genere e per la rappresentanza delle aree disciplinari), segnaliamo anche l’aspetto dei tempi, ripetendo la preoccupazione già espressa in un altro documento. Mentre il Consiglio Direttivo si sta rinnovando nella maggioranza dei suoi membri, i consiglieri superstiti sembrano lanciati in una ingiustificata accelerazione della VQR 2010-2014, apparentemente con il solo scopo plausibile di impedire ai nuovi membri di partecipare alle scelte di questo fondamentale esercizio. Considerando che siamo ormai entrati nel pieno della stagione estiva, rinnoviamo quindi al Ministero l’invito a impedire ai tre membri del CD dell’Anvur di compiere atti irreversibili senza il contributo della maggioranza dei consiglieri.

 

Abbiamo nel recente passato criticato frequentemente il MIUR per queste scelte sulla VQR, per la pervicace insistenza del Ministero nell’uso di questo esercizio di valutazione per ripartire “quote premiali” sempre più punitive per gli atenei che partono da condizioni svantaggiate, per il perdurare dell’incompleto turn-over, per la totale assenza di finanziamento alla ricerca di base, per la mortificazione di migliaia di ricercatori precari, per il mancato rispetto della legge (e dei propri stessi impegni) per l’ASN… la lista potrebbe continuare a lungo, e chiunque abbia a cuore l’Università pubblica ben la conosce. Parte di queste cattive politiche derivano, a nostro giudizio, da una sostanziale subalternità del Ministero alle scelte politiche e non tecniche regolarmente operate dal passato direttivo dell’ANVUR, nonché e a quella corrente trasversale (politica e non solo) che ha come obiettivo quello di svendere un bene comune qual’è l’Università italiana. Non ci facciamo illusioni, ma in questo momento non possiamo non dire a gran voce che la scelta di candidati che rappresentino un elemento di discontinuità rispetto al passato sarebbe, oltre che utile al mondo accademico, anche una irripetibile opportunità per il Dicastero di riaffermare il proprio ruolo nel definire le scelte di politica accademica. In sintesi, una scelta di dignità, oltre che di utilità.