Probabilmente si tratta di un semplice caso di phishing, o forse no, in ogni caso è un interessante esempio della direzione presa in tema di politiche della ricerca.

L’email riprodotta mi è stata spedita da un “analista” che dichiara di lavorare per una agenzia di finanziamento. Il poveretto è onestamente sorpreso che alcune riviste i cui articoli citano spesso i miei non sono citate reciprocamente dai miei articoli. Questa asimmetria spariglia i calcoli, con l’unica possibile spiegazione che le riviste indicate siano considerate da me di scarsa qualità.

Trovo diversi spunti di riflessione in questa email, tutti egualmente preoccupanti. Ne cito solo un paio.

  1. Le agenzie di finanziamento della ricerca si affidano a freelance esterni per decidere cosa finanziare e cosa no. Da italiano non posso evitare di immaginare le opportunità di corruzione che questo produce, e, a prescindere dalle frodi, mi domando che utilità possa avere una politica di finanziamento alla ricerca appaltata a temp-workers.
  2. Al di là di chi conduce le istruttorie, mi lascia basito che si intendano valutare lavori scientifici in base esclusivamente alle citazioni. Peggio ancora, l’implicita ipotesi del messaggio è che non conti nè la qualità del ricercatore nè del contributo: il vero focus dell’analista è la rivista, la sua reputazione “oggettiva”. 

Il messaggio indica chiaramente che il governo della ricerca, di cui il finanziamento è ovviamente componente cruciale, è stato sottratto all’accademia e consegnato a strutture amministrative incapaci di valutarne il valore reale. La diffusione di indicatori e le perversioni che ne derivano non sono altro che lo strumento di controllo utilizzato da chi non ha competenze scientifiche per giustificare il proprio potere su chi possiede queste competenze.

Trovo una sorprendente (ed estremamente preoccupante) somiglianza tra la valutazione della ricerca e la valutazione dei titoli finanziari. In origine gli analisti finanziari studiavano i bilanci delle aziende, i loro piani strategici, la solidità finanziaria, il valore del loro capitale, le capacità della loro forza lavoro, ecc. in modo da farsi un’idea delle prospettive della azienda stessa. Da questo giudizio derivava il valore dei titoli finanziari dell’azienda (cioè, ad esempio, se l’azienda era sana con buone prospettive future allora il prezzo delle sue azioni saliva). Dagli anni Ottanta in poi quasi nessuno guarda più alle caratteristiche reali delle aziende, e gli analisti usano sofisticatissime tecniche statistiche basate sui valori di mercato dei titoli finanziari (ad esempio, vedo che il prezzo di un titolo è cresciuto e quindi concludo che l’azienda ha buone prospettive future). Come dicono gli anglosassoni, è la coda che scuote il cane.

Dalla Enron fino alla crisi dei mutui sub-prime si è visto che risultati ha prodotto l’analisi finanziaria basata sugli indicatori. Il mondo della ricerca farà la stessa fine?

MV