Di seguito riportiamo il testo della memoria lasciata presso la VII Commissione Cultura della camera dei Deputati il 26 maggio 2025 in cui si discuteva l’emendamento Occhiuto -Cattaneo che introduce, nel provvedimento “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di attuazione delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l’avvio dell’anno scolastico 2025/2026” due nuove ulteriori figure precarie nelle Università e negli Enti di Ricerca. La registrazione della intera audizione è disponibile presso la webtv della camera. Sul nostro canale Youtube è disponibile anche un breve video di sintesi
MEMORIA della RETE29APRILE
Se oggi siamo in questa audizione è perché il Parlamento si appresta, ancora una volta (l’ultima fu meno di 3 anni fa, il 29 giugno 2022 con la legge 79), con l’art 1-bis, su cui ci concentreremo, a incidere fortemente sulla vita e sul lavoro di chi, in Italia, si impegna nella ricerca. L’intervento previsto, lo diciamo immediatamente, ci appare disastroso nel metodo e nel merito. Nel poco tempo a disposizione proveremo: i) a motivare il nostro giudizio così critico; ii); a dispetto di questo giudizio, proveremo a proporre modifiche che ne mitigherebbero le negatività; iii) proveremo in conclusione a proporre la vera soluzione ai problemi che oggi discutiamo. Nel metodo, riteniamo offensivo che, ancora una volta, si incida su temi così determinanti senza un provvedimento dedicato, che preveda nel suo iter una discussione ampia nelle Università, nel Paese e, in ultimo, nel Parlamento; ed invece questo Decreto dovrà essere approvato entro 10 giorni circa da oggi. Come se non bastassero tempi così compressi, il provvedimento di cui discutiamo è un Decreto Legge che, con un emendamento dell’ultim’ora inserirà in una norma “in materia di attuazione delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l’avvio dell’anno scolastico 2025/2026” una profonda revisione del pre-ruolo universitario che condizionerà ogni donna e ogni uomo che nei prossimi anni, sognando di fare ricerca, vorrà costruire intorno a questo sogno il proprio percorso di vita. Tale incongruenza rasenta la beffa laddove si legge nel Dossier di accompagnamento, per motivare la aggiunta dell’art. 1-bis, che “La finalità dichiarata della disposizione è quella di garantire la piena e migliore efficienza della Riforma 1.5, Missione 4, Componente 1 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, “Riforma delle classi di laurea”. È pleonastico aggiungere che la motivazione appare risibile, tant’è che la discussione della motivazione ed il collegamento con la “Riforma delle classi di laurea” è elusa dallo stesso Dossier. |
Tralasciando il fatto che quanto si propone va in direzione contraria rispetto agli impegni assunti in ambito europeo (e, su questo, la nostra contrarietà non mancherà di raggiungere l’opinione pubblica e, soprattutto, la Commissione europea), tali norme non rispondono minimamente – cosa notissima a tutte le persone che sono qui – ai criteri di “necessità e urgenza” che motivano, istituzionalmente, il ricorso al Decreto legge.
Nel merito, la norma in discussione introduce due ulteriori figure precarie alle molte già esistenti, di cui una con ridotte tutele, su cui si scaricano gli effetti del cronico sotto-finanziamento dell’Università e della Ricerca. Questa è la ragione vera, ed a poco valgono le ben orchestrate campagne mediatiche volte a giustificare la introduzione di tali misure con il pretesto di fornire figure flessibili adatte a particolari strumenti di finanziamento della ricerca; a questo scopo, come spiegheremo meglio in seguito, si sarebbero potuto facilmente adattare le figure esistenti.
Ciò premesso, e pur sapendo benissimo che non ci sia possibilità alcuna che a tali audizioni seguano emendamenti migliorativi del provvedimento, non eluderemo la ragione formale per cui siamo stati convocati, e proporremo delle soluzioni facilmente traducibili in emendamenti. Se ciò che si cerca non è lo sfruttamento di persone ma solo uno strumento flessibile per l’impiego di ricercatrici e ricercatori, allora occorrono a nostro giudizio tre variazioni: 1) il costo di queste figure precarie dovrebbe essere almeno equivalente alle figure non precarie. L’incarico post-doc, che rispetto al contratto ex-legge 79/2022 prevede anche attività didattiche, dovrebbe dunque avere un trattamento economico minimo non inferiore a quello previsto per il Ricercatore in Tenure Track (Rtt); 2) dovrebbe essere previsto un divieto esplicito di utilizzare le figure con “incarico post-doc” per il raggiungimento dei requisiti minimi di sostenibilità di un corso di laurea. Ciò al fine di evitare che, con il pretesto di introdurre flessibilità per figure necessarie alla ricerca, si generalizzi invece la precarietà nell’ambito della docenza universitaria; 3) dovrebbe essere eliminato il cosiddetto “incarico di ricerca”, che chiaramente, come plasticamente evidente nel confronto proposto nel Dossier di accompagnamento a partire da pagina 41, ripropone con piccolissimi aggiustamenti le Borse di assistente alla ricerca già previste nell’A.S 1240, e che quindi non garantisce le tutele minime per chi lavora nella ricerca, sottolineate anche in ambito europeo. Per il supporto alla ricerca riteniamo che lievi modifiche (ad esempio, la detassazione di quella “partita di giro” rappresentata dagli oneri previdenziali per ridurre i costi, o la introduzione di opportuni elementi di flessibilità nella durata per rispondere a particolari esigenze) al Contratto di ricerca già in vigore assicurerebbero una sufficiente flessibilità.
Sappiamo, però, che il tentativo appena esperito di suggerire aggiustamenti, pur nell’ambito dello strumento in discussione che, come detto, consideriamo profondamente sbagliato ed offensivo, risulterà vano. Perciò, in questo che riteniamo il luogo più alto del confronto politico, proprio un discorso profondamente politico vogliamo fare.
Riteniamo che la pervicacia con cui si continuano ad introdurre figure sempre più precarie risponda non già ad una necessità di migliore il funzionamento delle università, bensì ad una idea, molto più generale, di società in cui la precarizzazione del lavoro è elemento determinante per assicurare una organizzazione profondamente gerarchica che rende le figure subalterne più fragili e ricattabili. Da questa logica, evidentemente, non si vuole sottrarre neppure l’Università, luogo di formazione al lavoro ed alla vita. La gerarchizzazione progressiva degli atenei – così come il crescente ricorso a figure precarie – è un fatto ineludibilmente evidente per chiunque abbia occhi e voglia di guardare. Tale gerarchizzazione, ben lungi dall’assicurare migliori servizi, alimenta una mancanza di etica diffusa (quello che dovrebbe essere un diritto diventa una “concessione” in mano a pochi) e comprime in modo preoccupante l’indipendenza delle giovani generazioni di ricercatori (si pensi, per tornare al provvedimento in discussione, all’assegnazione diretta dell’incarico di ricerca). Noi riteniamo che un cambio di rotta sia necessario e una riforma che riporti al centro la collaborazione contro la competizione e che favorisca un governo fattualmente democratico degli atenei sia la sola cura possibile. Questa riforma dovrebbe prevedere tanto una contrazione considerevole del ricorso al precariato quanto un radicale cambio nella organizzazione del corpo docente, con la introduzione del “ruolo unico della docenza” in cui i giovani ricercatori non debbano per tutta la vita sentire il peso di un debito verso qualcuno (se questo è un vero momento di ascolto, allora ci aspettiamo che approfondiate questa possibilità e attendiamo un vostro parere). Tornando al provvedimento in discussione, noi riteniamo che una delle ragioni non dichiarate che lo motivano sia la preoccupazione per la sostenibilità della offerta didattica erogata dagli atenei pubblici, alla luce del superamento della figura RTD di tipo A. Se qualche Rettore pensa di salvare l’offerta didattica del suo Ateneo approfittando del lavoro a infimo costo, anziché unirsi a noi chiedendo un equo finanziamento del sistema e i dovuti diritti per chi lavora, rifletta sul fatto che la soluzione è miope, e farà la fortuna non del suo Ateneo ma di quelli telematici a scopo di lucro. Noi, al contrario, pensiamo che la sostenibilità della didattica vada assicurata dal personale strutturato. Questo non solo assicurerebbe continuità e stabilità, ma annullerebbe la disparità in termini di salario e diritti tra i docenti strutturati e precari che assicurano la didattica negli atenei, rafforzando l’etica diffusa che, sola, può garantire un funzionamento sano del sistema. È questo un sogno irrealizzabile perché troppo costoso? Crediamo di no. Molto brevemente, attualmente circa 7.500 RTD di tipo A (il 15% circa del personale docente) sono impegnati nella didattica e concorrono alla sostenibilità dei corsi, in aggiunta, altre figure sotto varie forme concorrono a loro volte a sostenere la didattica negli atenei. I loro salari rappresentano un costo che il sistema universitario già oggi sostiene. Piuttosto che pensare a sostituirle con nuove figure precarie, servirebbe introdurre nel sistema Ricercatori in tenure track. Non si tratterebbe di null’altro che di dar loro la possibilità di continuare con il lavoro che hanno già svolto in passato o stanno ancora svolgendo: precari/e, ma “prof.” per decine di migliaia di studentesse e studenti con cui hanno lavorato o lavorano. Pur considerando che parte delle figure precarie che svolgono attività didattica sono oggi pagate su fondi esterni, non sarebbe difficile dimostrare che con un incremento ragionevole, nell’ordine del 10% dell’attuale Fondo di Finanziamento Ordinario, si potrebbe assicurare la sostenibilità didattica con il solo personale strutturato, portandone il numero ad un livello meno lontano dagli altri Paesi europei. Questa è la riforma che servirebbe, dubitiamo che sarà quella che varerete. Anche perché tutte le parti politiche hanno avuto l’occasione per farlo ma non lo hanno fatto. Purtroppo, i consiglieri privilegiati non sono – né sono state – le persone che tengono in piedi il sistema sperimentando le peggiori contraddizioni, ma coloro che hanno portato l’università nelle condizioni in cui si trova. Si è pronti ad investire miliardi in sicurezza, ma la vera sicurezza viene dalla innovazione, dalla ricerca e dalla cultura, che migliorano la società perché rappresentano un formidabile antidoto alla frustrazione e alla violenza.