La Rete29Apile, che supporta le Assemblee Precarie Universitarie, ha partecipato alla “due giorni” promossa a Roma (27 e 28 settembre) dalla Piattaforma Nazionale delle Assemblee Precarie Universitarie.

Questo il testo dell’intervento, portato per R29A da Massimiliano Tabusi (in presenza, con i tempi un po’ contingentati, è stato per alcune parti abbreviato o sintetizzato):
Intanto un saluto da tutta la Rete29Aprile e dal suo Presidente, Gianfranco Bocchinfuso, che non può essere qui per importanti ragioni personali; partiamo mappando la situazione, in poche parole, per poi immaginare percorsi, in poche parole. Questo che stiamo vivendo è un NUOVO punto di svolta.
Nel 2010 c’era il rischio che il sistema universitario fosse messo nelle mani dei privati, e ridotto in termini di personale stabile. La seconda cosa è successa (-20.000 strutturate/i in pochi anni, sostituiti con posizioni precarie); la prima meno, perché si sono trovati altri modi per fare lavorare, spesso gratuitamente, le università per i privati. Il PNRR è stata la prova generale. Ed è successa nel disinteresse della società in generale, e nel colpevole silenzio, e addirittura supporto, di molte persone interne alle università.
Oggi il pericolo che si corre è la cancellazione del sistema universitario come lo conosciamo, adducendo come motivazioni il calo demografico e i cambiamenti tecnologici. Università telematiche a scopo di lucro (avete presente quelle degli spot ammiccanti che si vedono ovunque?) per il “popolo” (e poi arriverà l’attacco al valore legale del titolo di studio, perché si dà per scontato e si tollera che quel percorso sia frequentemente di bassa qualità), viste anche come soluzione geniale al welfare studentesco, considerando che non ci si vogliono mettere soldi (con danni enormi sul tessuto sociale). Al tempo stesso si immaginano università di élite per pochi. Università che siano più che luogo di formazione luogo di osmosi con chi è influente. Perché conoscere è importante, ma conoscere le persone giuste lo è di più.
Il tutto ammantato dalle narrazioni dell’eccellenza e della competizione. Torri d’Avorio al cubo, con mille difese affinché non ci entrino né i docenti né gli studenti sbagliati.
Anche perché – è il sottotesto – che devi farci con molti docenti se c’è l’intelligenza artificiale? C’è il tentativo di trasformare la formazione, che ha come obiettivo cittadine e cittadini consapevoli e in grado di comprendere la complessità del mondo, in addestramento, che ha come obiettivo generare persone funzionali al processo produttivo attuale, in attesa di sostituirle con robot più efficienti e meno critici.
Perché non si riesce a investire nell’università? Perché tante persone capaci, fondamentali per la ricerca, possono trovarsi nelle condizioni di non proseguire questo lavoro senza che la società nel suo complesso insorga? Il tema è culturale, e non riguarda solo l’università. Ma può PARTIRE dall’università. NON SI PUÒ OTTENERE NULLA DIFENDENDO QUESTA UNIVERSITÀ: OCCORRE PUNTARE LA BUSSOLA VERSO UNA DIVERSA UNIVERSITÀ. DIVERSA ORGANIZZAZIONE INTERNA. DIVERSE FUNZIONI E OBIETTIVI.
L’università di oggi rispecchia l’organizzazione di potere che la permea. La suddivisione piramidale semplicemente è un falso, un’ipocrisia. Facciamo tutti le stesse cose. Nell’insegnamento. Nella peer review. Nella burocrazia. Perché mai una università dovrebbe bandire un posto da ordinario, quando una precaria o un precario farà di più a basso costo? La risposta è nota e non serve ricordarla qui.
Il RUOLO UNICO è una prospettiva anche di deciso miglioramento del modo di lavorare. Dalla competizione alla collaborazione. Una persona del mio settore non sarebbe più la mia prima nemica ma la persona con la quale, assieme, si può fare di più e meglio. Questo cambierebbe tutto: anche i percorsi per l’ingresso e il controllo diffuso. Oggi di fronte alle più palesi nefandezze è difficile parlare, perché facendolo probabilmente non si otterrebbe nulla, se non rovinarsi vita e carriera. Con il ruolo unico l’università sarebbe davvero una comunità di pari e il controllo diffuso cambierebbe, davvero, lo stato delle cose, molto più di mille alchimie normative.
Nella nostra visione professore è chi il professore fa. Quante persone oggi sostengono la didattica, e le stesse università le indicano come professori e professoresse al corpo studentesco, senza che sia loro riconosciuto il ruolo, perché sotto ricatto del precariato? Gli Atenei hanno interiorizzato questa situazione e l’ipocrisia più grande è la ricerca (o perfino autorevoli appelli alla politica) di condizioni sempre più misere e di ricatto per mantenere in piedi il sistema facendone pagare i costi (economici, ma anche umani, sociali, relazionali) alle persone precarie.
Le visioni nuove, vogliamo dire rivoluzionarie? nel mondo sono spesso partite dalle università. Affermare che, per le società contemporanee, è venuto il momento di puntare sulla collaborazione anziché sulla competizione è una prospettiva rivoluzionaria che può e deve partire dall’università.
Come far emergere le ipocrisie, e diffondere le proposte alternative? Ci servono delle “leve”. Oltre a iniziative come lo sciopero (la cui leva classica è creare un problema al servizio: tutto ciò è ampiamente discusso in questa Assemblea, dunque non ci si torna qui), è importante pensare anche ad altre iniziative, in parallelo, per raggiungere e possibilmente coinvolgere un pubblico vasto.
Milioni di persone sono anch’esse aggredite dalla precarietà in mille modi e in mille contesti. Allora il coinvolgimento può passare dal dare un nuovo senso, una nuova percezione alle università e alle loro funzioni, nella prospettiva di una università, ma anche una società diversa. Le università (ancora per un po’) sono proprietà comune, e verranno percepite come utili se questi luoghi si aprono e se da lì vengono principi importanti per tutta la società.
Anche come spazi fisici!
Spazi di formazione e informazione. spazi di incontro e di relazione; spazi in cui “mettere a terra” e far funzionare principi. Ad esempio che abbiamo bisogno, perché è utile per TUTTE e TUTTI (scusate la ripetizione), di più collaborazione anziché competizione, che passa anche da più condivisione e socialità. Che più del PIL è importante la qualità della vita, il tempo e le relazioni umane. Su tutto questo sarebbe importante ragionare anche con chi l’università non l’ha mai frequentata, e non ha idea di cosa sia. Perché anche quella persona è, inconsapevolmente, “proprietaria” dell’università pubblica. È importante che questa diventi una consapevolezza, prima che questa sua “proprietà”, questo bene pubblico, sia definitivamente smantellato o svenduto a chi ne farà (e ne sta già facendo) enormi privatissimi profitti.
E insieme a tutto ciò, questo è il momento di azioni che trasmettano messaggi importanti, per l’università, certo, ma soprattutto per la società tutta, magari nello spazio pubblico.
Azioni che possano essere condotte da pochi, altamente visibili e simboliche, e che possano essere replicate. Così pianificammo nel 2010 l’azione del tetto di Roma, che presto diventò di mille tetti in Italia e nel mondo. Probabilmente, anche se eravate forse alle medie o elementari, ricordate che ebbero risonanza (se vi interessa la genesi e le motivazioni, cercate il volume “Senti che bel rumore“, curato da Bruno Maida, che parla di quella esperienza con i punti di vista di ricercatori e studenti: PDF; EPUB).
Come: costruire un messaggio simbolico forte (all’epoca: sui tetti per sfuggire alla marea montante di un capitalismo distruttivo, e come alternativa, invece, proponiamo..), fondato ANCHE SULLE NOSTRE RICERCHE, e che quindi abbia forte credibilità; un messaggio che “gentilmente” disturbi alcune persone (il/la conducente, che non ha piacere si rivolga l’attenzione alle ipocrisie dilaganti) e ne rappresenti molte altre. Le azioni oggi possono essere di tipo diverso, ma il senso resta: poche persone, visibili nello spazio urbano con una sorta di pacifico “speaker’s corner”, con un messaggio rappresentativo, forte e comprensibile. Azioni facilmente replicabili in grado di far riflettere anche chi l’università la immagina come luogo lontano e inaccessibile. Questa è una delle possibili leve. Grazie!
Programma_APU_2728




